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Abbandono scolastico e difficoltà di apprendimento nei percorsi di istruzione per gli adulti

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Una delle tante e complesse cause del precoce abbandono scolastico degli iscritti nei percorsi di istruzione degli adulti, talvolta già dopo i primi mesi dall’avvio delle attività didattiche, è da imputare sovente alle difficoltà/disturbi di apprendimento, che una parte consistente di loro rivive nel tormentato rientro in formazione.

L’identificazione della dislessia in età adulta non è un problema di facile risoluzione. La dislessia e gli altri disturbi specifici dell'apprendimento spesso si compensano, a volte male, ma continuano ad avere conseguenze anche per tutto il resto della vita di un individuo, ponendo limitazioni alle sue capacità di utilizzo della lettura, della scrittura e/o del calcolo come strumenti automatici di esecuzione di attività scolastiche e di gestione della propria vita quotidiana.

In Italia accedere in età adulta alle misure di supporto previste dalla legge 170/2010 è difficile, in quanto i servizi diagnostici specializzati si occupano prevalentemente della valutazione e diagnosi delle persone di età inferiore ai 18 anni, tendendo talora a non prendere in carico ragazzi di 15-16 anni, la fascia d’età più a rischio dispersione in modo particolare nei percorsi della seconda opportunità. Il problema si pone anche per quanto concerne gli strumenti per la diagnosi della dislessia in questo tipologia di persone.

Come in età infantile e adolescenziale, la dislessia nell’adulto richiede la dimostrazione oggettiva di una difficoltà nella lettura, nella scrittura e/o nel calcolo, pertanto è necessario sottoporre il soggetto a prove standardizzate, confrontando così le sue prestazioni con valori normativi forniti da un campione di soggetti normali della stessa età, scolarità e con la medesima esposizione ai testi. Per quelli che interrompono gli studi dopo la scuola primaria e si iscrivono ai corsi per adulti la strumentazione per la valutazione e la diagnosi della dislessia è altrettanto carente.

Tuttavia anche in assenza di diagnosi, gli elementi predittivi, che un docente di una scuola della seconda opportunità, e non solo, si trova ad esaminare, sono chiari. Le difficoltà scolastiche della maggior parte degli apprendenti nei percorsi di istruzione per adulti hanno a che fare soprattutto con le abilità di base. La lettura il più delle volte si presenta lenta e richiede un grande sforzo; se ad alta voce in pubblico può contenere errori di decifrazione e comportare omissioni di parole o di intere righe. La scrittura evidenzia numerosi errori e cancellature. Gli errori sono spesso a carico dei gruppi ortografici più complessi (ad es. gn, gli, doppie, c/q…) e si presentano con omissioni di lettere e/o inversioni di lettere speculari (b/d…). Il tratto grafico può essere incomprensibile. La produzione del testo scritto può richiedere più tempo, le frasi possono essere costruite in maniera eccessivamente semplice e le idee non organizzate in modo chiaro. Talvolta anche le abilità matematiche si manifestano carenti. Il soggetto ha difficoltà nel ricordare formule e procedure di calcolo, nella lettura dei termini usati nei problemi, nella copia di numeri, lettere e simboli. Altre difficoltà: l’esposizione orale può risultare poco chiara e organizzata, con fatica a ricordare termini tecnici, memorizzare e interpretare istruzioni verbali complesse.

La raccolta delle storie personali, come si verifica di solito nella fase dell’accoglienza degli iscritti nei CPIA, permette di capire meglio il vissuto di questi soggetti a rischio abbandono. Le loro narrazioni evidenziano periodi anche abbastanza lunghi di sofferenza, soprattutto nei primi anni di scuola. Esposti per anni al sospetto dell’incapacità intellettiva e alla gestione delle frustrazioni devono fare i conti con un’autostima indebolita. Nei racconti il loro vissuto personale e scolastico risulta pieno di difficoltà, di fallimenti e di faticose conquiste. Essi riferiscono di come la loro “differenza” sia stata interpretata in termini negativi, rivelando, infatti, di essere stati definiti spesso “stupidi e pigri”, privi della giusta motivazione. Quanto agli insegnanti, raccontano di come si vedessero frequentemente attribuire le loro difficoltà a ipotetiche “tensioni familiari”; di come le conseguenze più immediate delle loro difficoltà di apprendimento, “il mal di scuola”, la scarsa partecipazione, il comportamento non sempre corretto venissero talvolta letti come la causa dei loro problemi.

A lungo andare tutto questo crea condizionamenti pesanti nella vita dei soggetti in esame, inducendoli spesso a un precoce abbandono scolastico, a occupazioni lavorative non corrispondenti alle proprie capacità e ai propri interessi e in casi estremi a emarginazione e devianza.

Quando decidono di rientrare in formazione, la paura di non farcela, i sintomi del mal di scuola si ripresentano in maniera preponderante e la voglia di rinunciare al percorso scolastico si fa insistente.

La prima avvisaglia a comparire è la riduzione della propria autostima, minata anche dalle prese in giro dei compagni. C’è poi il timore che deriva dal confronto con gli altri, a cui si lega la preoccupazione di rimanere indietro e di sentirsi per gli altri come un peso. Da ciò discendono gli ultimi due sintomi: la paura degli insegnanti, raffigurati o come eccessivamente severi o come distanti, indifferenti e, infine, l’ansia, l’angoscia che arriva anche a non tollerare il chiuso dell’aula.

In quest’ottica, riconoscere le difficoltà e adottare le metodologie giuste è un dovere del docente, specialmente se questo si trova ad operare in contesti in cui l’abbandono precoce è una strada troppo spesso battura.

Quando si parla di difficoltà, essa diventa disabilità solo in relazione al contesto nel quale la si inserisce: in quello scolastico tradizionale non riuscire a leggere, scrivere e far di conto è un problema di disabilità, in un contesto scolastico più inclusivo e resiliente le caratteristiche della dislessia si possono configurare diversamente.

Allora con o senza diagnosi, l’insegnamento di efficaci tecniche di studio e l’utilizzo di idonee misure dispensative dovrebbe essere per un formatore all’interno dei percorsi della seconda opportunità la base da cui partire, anziché la riproposizione di modelli pedagogici obsoleti e discutibili, che  contribuiscono piuttosto all'intensificazione del fenomeno dell'abbandono precoce.

Alfonso Rainone

ambasciatore EPALE per la Puglia

 

foto: AID, Associazione Italiana Dislessia -  https://www.aiditalia.org

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