Ponti o barriere? Le lingue come strumento di pacificazione e conflitto


L'8 febbraio è stata organizzata a Bologna la conferenza Ponti o barriere? Le lingue come strumenti di conflitto e pacificazione, un'occasione per riflettere sul rapporto tra lingua, linguaggio e identità.
L'evento è stato organizzato da Bunta esperanto Asocio, associazione impegnata nello sviluppo di progetti europei che usano l'Esperanto come lingua di comunicazione internazionale, come attività collegata al progetto Erasmus+ Learn, Create, Share! e NITOBE, associazione che mira alla sensibilizzazione sui diritti linguistici visti come componente fondamentale dei diritti umani.
Il dibattito ha preso spunto dal racconto narrato nel libro “Tutta quella brava gente” (Rizzoli, 2019) da parte di uno dei suoi autori, Jadel Andreetto. Infatti a fare da sfondo alla storia descritta nel volume firmato dal collettivo Marco Felder ci sono i conflitti avvenuti tra italiani e tedeschi a Bolzano e poi sfociati in atti terroristici a partire dagli anni Settanta. All'evento ha partecipato anche Gianfranca Gastaldi dell'associazione Nitobe che ha presentato le peculiarità dell'Esperanto rispetto alle lingue naturali ricollegandosi alle ultime pagine del libro, che usano appunto la lingua di Zamenhof.
Per addentrarsi nelle questioni che riguardano la lingua, è meglio capire per prima cosa cos'è e in cosa si differenzia dal linguaggio in modo da non confondere l'una con l'altro. Il linguaggio fa riferimento al codice di comunicazione che serve per veicolare significati. La lingua, o meglio, le lingue, sono un'espressione del linguaggio e si riferiscono a uno o più particolari codici linguistici (regole grammaticali, sintattiche, una certo vocabolario di base) condivisi da una certa comunità di parlanti che spesso abita un preciso territorio e ha in comune un certo sistema di valori. Si può dire dunque con le parole di de Saussure che la lingua è “un prodotto sociale della facoltà di linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l'esercizio di questa facoltà negli individui”.
Grazie a questa premessa è possibile capire il valore dato alla lingua nella situazione conflittuale tra italiani e tedeschi descritta in “Tutta quella brava gente”. Partendo dalla situazione di conflitto etnolinguistico di Bolzano è stato poi possibile approfondire grazie a Gianfranca Gastaldi il ruolo dell'Esperanto in quanto lingua non naturale, non quindi direttamente connessa a una comunità che abita in un territorio.
L'Esperanto presenta quindi già da subito una differenza sostanziale rispetto alle altre lingue: non è legata a un territorio anche se è da considerarsi a tutti gli effetti una lingua che ha una storia, una letteratura e dei prodotti culturali come musica, libri, eventi.
L'Esperanto è allo stesso tempo una seconda lingua per tutti che garantisce un livello linguistico equitario tra i suoi parlanti in quanto, semplicemente, va appresa da zero da chiunque voglia parlarla. Nonostante sia una lingua seconda, l'Esperanto identifica comunque una comunità basata sulla condivisione di valori e non più descritta su base territoriale. Chi parla Esperanto infatti condivide l'ideale di una lingua neutrale che serve per comunicare con l'altro e mettersi in relazione pacifica e di dialogo.
Questo è un punto molto importante rispetto agli usi normalmente identitari di una lingua che storicamente hanno portato alla chiusura della comunità di parlanti, all'identificazione dell'altro come minaccia e non come opportunità.
Oggi ci si potrebbe anche chiedere come e perché al posto dell'Esperanto si siano affermate altre lingue nazionali come lingue veicolari, usate da parlanti di lingue materne diverse per comunicare. Si può dire che alcune lingue si sono oggi affermate tramite un processo di prevaricazione politico-economica di un sistema sugli altri, l'Esperanto invece parte da un assunto pacificatore cioè quello di usare una lingua per raggiungere un ideale di pace.
Per concludere, anche se non possiamo prevedere come si svilupperanno i rapporti tra Paesi e comunità diverse, possiamo decidere quali sono gli ideali verso i quali vogliamo tendere e creare delle strategie anche linguistiche per arrivarci. Perché la parola, dalla Genesi in poi, ha il potere di far apparire un'idea, quindi forse basta iniziare a parlare di pace per realizzarla.
Sta a noi insomma scegliere se la lingua è uno strumento di conflitto o di pace, tutto dipende dalla nostra volontà.