Minori stranieri non accompagnati: una sfida per il nostro sistema di accoglienza

Nel terzo incontro del corso Re-start dedicato al tema dei migranti e rifugiati abbiamo dato voce con Lucia De Marchi al tema dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), una realtà di cui si parla poco, generalmente in relazione a fatti strettamente di cronaca, e che in periodo pandemico è stata particolarmente sofferente.
Lucia De Marchi, esperta di minori stranieri non accompagnati e autrice, all’interno del volume I dimenticati, del contributo Minori stranieri non accompagnati, una sfida per il nostro sistema di accoglienza e integrazione, inizia ricordando la definizione che ne dà il nostro legislatore, citando la Legge Zampa del 2017, che prende le mosse e si sviluppa ribadendo i diritti che derivano dalla Convenzione Internazionale dei diritti del fanciullo.
Come recita l’articolo 2 un MSNA è un “minore non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato italiano o che altrimenti è sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”
A livello internazionale esiste una distinzione tra minori non accompagnati e minori separati, molto importante perché pone l’accento sull’aspetto esistenziale di solitudine e abbandono che i bambini possono trovarsi a vivere:
I primi (unaccompanied children) sono minorenni che vivono senza la tutela dei genitori e non possono quindi usufruire delle cure di un altro adulto che ne è responsabile. I secondi (separated children) sono quei minori accompagnati da genitori o adulti, i quali tuttavia non sono, per svariati motivi, in grado di potersi assumere la responsabilità del minore, soprattutto in stati emergenziali.
Quella degli MSNA non è una realtà che riguarda unicamente l’Italia o l’Unione Europea, ma, ci ricorda De Marchi, un fenomeno globale che coinvolge un numero vastissimo di paesi del mondo, alcuni dei quali interessati come paesi di transito. È dunque una migrazione che collega i vari paesi del mondo e restituisce una situazione a dimensione globale che parla di viaggi forzati, esseri umani in viaggio per fuggire da guerre, faide, fame, cambiamento climatico, povertà estreme, in cui può capitare che siano le famiglie stesse a dover vendere i propri figli.
Quanti sono i MSNA nel mondo? Secondo il Global Trend dell'UNHCR uscito 2019 sono 79,5 milioni di cui il 40% bambini. Una cifra enorme, che è comunque da considerare come sottostima del fenomeno, poiché a livello internazionale non esiste un sistema di monitoraggio unico: talvolta i minori vengono registrati insieme ai richiedenti, oppure non vengono proprio registrati, magari perché nei loro Paesi non esiste l’anagrafe (o c’è ma non funziona) e quindi per quello Stato il bambino non esiste perché non esiste alcun documento che ne attesti l’esistenza. Grosso è il lavoro di ricostruzione delle identità che deve essere ogni volta fatto.
Quanti MSNA arrivano in Italia? Se osserviamo il trend dal 2017 al 2021 notiamo un calo dei numeri che può essere spiegato con le misure adottate nel nostro paese per far fronte agli sbarchi. Va ricordato, precisa De Marchi, che il 2017 è sì l’anno dell’entrata in vigore della legge Zampa, applaudita a livello europeo come legge all’avanguardia nella cura e tutela dei minori, ma è anche l’anno che vede la stipula degli accordi tra Italia e Libia e l’inizio del blocco navale e delle limitazioni agli interventi delle ONG.
Il biennio 2018-2019 continua ad essere contrassegnato dai decreti Salvini: permane il blocco degli sbarchi e il contrasto ai salvataggi in mare che di nuovo producono un calo dal punto di vista numerico. Un numero che non esprime, dunque, una reale riduzione del fenomeno, ma solo l’impossibilità per i minori in arrivo di sbarcare in Italia, essere identificati ed inseriti in struttura. Minori, quindi, respinti solo alla frontiera e che hanno preso altre rotte, come quella balcanica, ispanica, dei paesi arabi, prolungando ancora il proprio viaggio. Oppure sono rimasti fermi in Libia. La fotografia che restituisce il nostro Paese non è pertanto rappresentativa del fenomeno internazionale.
Che cosa è successo durante la pandemia.
Anche per i minori nelle strutture di accoglienza il periodo pandemico è stato difficile con l’interruzione improvvisa di tutte le attività, della socialità e della scuola. De Marchi sottolinea come ci sia stata però una grande attivazione da parte degli operatori e, in molti casi, della comunità.
Anche i CPIA si sono dimostrati particolarmente attivi, attivando la DAD (seppure con modalità e tempistiche diverse) e cercando una stretta collaborazione con le strutture di accoglienza (anche in questo caso, con molte variabili e varietà). Si è poi cercata una collaborazione fra insegnanti ed educatori/operatori delle strutture affinché i ragazzi, tramite smartphone, gruppi WhatsApp e Facebook, potessero comunque seguire le lezioni e svolgere le attività. Gli operatori hanno affiancato i minori anche nello svolgimento dei compiti, per aiutarli ad ottenere almeno la licenza media.
Un esito diverso hanno avuto invece i corsi di formazione professionale, finanziati dalle Regioni, di durata variabile compresa tra i 6 mesi ai 2 anni, volti a formare figure professionali a basso profilo solitamente, per i migranti, in settori come l’agricoltura, la ristorazione, l’alberghiero o lavori di cura. Settori che, com’è noto, sono stati pesantemente interessati dal lockdown più stretto, ma anche dopo da lunghissime chiusure e spesso mancate riaperture. In questi casi la formazione si è bruscamente interrotta o si è conclusa con il raggiungimento di competenze molto basilari.
Che succede allora?
Succede, prosegue De Marchi, che in molti scelgano di abbandonare l’Italia oppure di entrare nell’irregolarità, rendendosi irreperibili dopo essere usciti dalle comunità di accoglienza in cui avevano iniziato un percorso.
In Italia ci sono stati molti casi importanti di attivazione del territorio, anche nei confronti dei MSNA. Una storia di successo è rappresentata dal Comune di Venezia, che ha felicemente collaborato con una rete di famiglie che spontaneamente si sono messe a disposizione per essere dei concreti punti di riferimento per minori, soprattutto quelli prossimi alla maggiore età.
Questo, così come molti altri esempi di cui Lucia De Marchi parla nel suo contributo dimostrano il ruolo cardine del territorio e della comunità che, se riesce ad attivarsi e fare rete con gli enti locali e la scuola, è capace di crescere e far fiorire i suoi membri più giovani, anche se svantaggiati.
Perché si impara a scuola, ma anche in contesti di vita plurali, formali, non formali e informali e per questo il contributo di tutti è fondamentale.
Rivedi l'intervento di Lucia De Marchi:

Materiali utili:
Dal 23 settembre al 6 dicembre 2021, Epale Italia in collaborazione con Infinito edizioni ha realizzato in modalità online il corso Re-Start: per realizzare una community solidale nella fase post pandemica. Il percorso ha previsto quattro incontri con esperti e quattro attività di community riservate agli iscritti. Riproponiamo nella sezione blog adesso le relazioni degli esperti e i materiali di studio messi a disposizione dagli Ambasciatori Epale che hanno contribuito attivamente alla realizzazione del percorso.
Chi sono gli autori e i temi affrontati nel corso Re-Start