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A scuola di Smart Working: il lavoro da remoto, futuro possibile

Il progetto Erasmus+ "The Digital Workplace" si è occupato delle nuove forme di lavoro rese possibili dalle tecnologie. Ed è stato anche occasione per delineare lo stato dell’arte del lavoro remoto in Europa
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Alessandra Ceccherelli

Lavororemoto

Lo smart working è una leva importante per la trasformazione digitale delle aziende e del Paese. Adottare forme di lavoro agile significa non solo cambiare la cultura delle aziende e dei manager, ma anche diffondere maggiori competenze digitali tra i propri dipendenti.

Proprio in risposta a questa esigenza è nato il progetto multinazionale “The Digital Workplace”.
Ne parliamo con la Dottoressa Annamaria Cacchione, responsabile scientifica di Ares - Agenzia regionale servizi di Campobasso, la cooperativa di formazione professionale capofila del progetto, e Ambasciatrice Epale.

 

Quali sono le competenze fondamentali alla base della trasformazione digitale promossa dallo Smart Working?

Lo Smart Working richiede un cambio radicale di atteggiamento, basato non più sulla presenza in ufficio, ma sugli obiettivi. Servono, quindi, competenze trasversali, assimilabili alle cosiddette soft skills, che possiamo ricondurre a quattro grandi ambiti sia per gli imprenditori sia per i lavoratori:

  1. la capacità di self management, quindi di auto-disciplinarsi
  2. la capacità di collaborare a distanza con colleghi e superiori
  3. la capacità di comunicare usando in modo appropriato gli strumenti tecnologici
  4. il pensiero laterale e il cosiddetto change management

Su queste quattro aree sono stati costruiti i moduli del corso online che rappresenta il principale output del progetto "The Digital Workplace".

 

The Digital Workplace è un programma di educazione per favorire la diffusione delle buone pratiche di Smart Working. Di cosa si tratta? Quali sono gli obiettivi del progetto e a chi si rivolge?

The Digital Workplace è un progetto europeo di formazione professionale, all’interno del programma Erasmus plus. Obiettivo primario è promuovere la diffusione di un nuovo modello di organizzazione del lavoro, che sia basato sui risultati e non più sulla presenza in quanto tale e, quindi, realizzabile in autonomia e a distanza. Esistono diversi modi di definire lo smart working, da remote working a lavoro agile: noi abbiamo chiamato il progetto Digital Workplace, partendo dal concetto di digital working, perché il nostro focus iniziale è stato quello della tecnologia.

Il progetto si rivolge a due target:

  • gli imprenditori e gli HR manager
  • i lavoratori, sia dipendenti sia freelance.

L’idea è nata un po’ di tempo fa, nel 2014, durante la Mobile Learning Week dell’Unesco a Parigi, perché insieme ad amici e colleghi ci siamo trovati a riflettere sui nuovi modelli organizzativi che sfruttano le nuove tecnologie e, in particolare, sul lavoro remoto e sulla necessità di formazione in questo senso.

Le tecnologie sono assolutamente essenziali, perché costituiscono l’ambiente nel quale lo Smart Working può nascere, però non sono tutto. Prima ancora di usare correttamente gli strumenti tecnologici, è importante avviare un cambiamento culturale e di atteggiamento, da parte sia degli imprenditori sia dei lavoratori.

 

Com’è strutturato il corso online? E’ prevista una certificazione finale?

Il corso è un MOOC, quindi è un corso online, aperto a tutti e gratuito. In realtà, si tratta di due corsi paralleli, simili ma con alcune differenze: uno è rivolto agli imprenditori, l’altro è pensato per i lavoratori. Entrambi sono articolati su 4 settimane per 4 moduli, dove ogni modulo affronta una specifica area di competenze.

La certificazione finale è una parte importantissima del programma. L’abbiamo progettata tenendo conto non solo dei contenuti appresi durante il corso, ma anche delle competenze che una persona potrebbe aver maturato in altre situazioni. Per far questo, abbiamo adottato il sistema ECVET della Commissione Europea, che serve a garantire la trasparenza e riconoscibilità delle qualifiche tra sistemi diversi.

Stiamo anche progettando l’adozione degli open badge, a garanzia della trasparenza e dell’innovatività del sistema, e lo stiamo facendo insieme all’agenzia italiana che fa capo al CINECA, che si occupa degli open badge a livello nazionale. 

Progettare la certificazione rappresenta l'aspetto più complesso nella realizzazione del progetto. Dal punto di vista della promozione dello Smart Working, invece, l’elemento più critico continua ad essere la resistenza che troviamo in imprenditori e lavoratori.

 

Trattandosi di un progetto multi-nazionale, sorge spontaneo chiedere come vede l’Italia. Come si posiziona il nostro Paese rispetto agli altri Stati europei? Quali Paesi sono più avanzati e pronti culturalmente allo Smart Working? Quali quelli più in difficoltà?

Premetto che al momento non ci sono, se non in rari casi, dei dati ufficiali attendibili sullo Smart Working, né per l’Italia né per altri Paesi. Dai dati raccolti attraverso ricerche come la nostra o dall’esperienza diretta, sono però emerse delle evidenze sorprendenti. In particolare, ci aspettavamo che lo Smart Working fosse una prassi più consolidata nei Paesi del Nord rispetto a quelli del Sud ai quali apparteniamo. Questo è vero, ma solo in parte. Due casi emblematici confutano questa percezione.

Uno, in negativo, riguarda la Germania. Pensavamo fosse molto avanti nella promozione e nell’attuazione dello Smart Working, invece non lo è, anzi è abbastanza arretrata per due motivi: da una parte, per il tipo di industria prevalente, quella manifatturiera, che è impossibile da tradurre in lavoro remoto, perché se si tratta di assemblare pezzi non si può fare a distanza; dall’altra, perché la legislazione sull’organizzazione del lavoro è talmente rigida che spesso scoraggia l’applicazione dello Smart Working.

Un caso emblematico in positivo riguarda invece la Spagna, che è quasi comparabile a Paesi avanzati come il Regno Unito. In particolare, ci sono delle comunità, come quella dei Paesi Baschi, in cui molte amministrazioni pubbliche hanno realizzato importanti programmi di Smart Working e ne stanno analizzando pro e contro.

Il Paese europeo più all’avanguardia, sempre senza poter contare su dati statistici affidabili, è probabilmente l’Olanda: in alcune aziende dei Paesi Bassi la concezione è addirittura ribaltata, tanto che è il datore di lavoro a dover giustificare la sua decisione di tenere in ufficio i dipendenti e non il contrario.

In Italia la situazione è a macchia di leopardo: ci sono esperienze molto avanzate, come quella che state facendo voi di TIM, ma molti sono ancora indietro. I casi più innovativi sono quelli di startup, soprattutto nel settore informatico, che nascono già digitali, potremmo dire sono digital native, perché hanno nel loro DNA l’orientamento al risultato invece che al controllo.

 

Quali sono gli ostacoli che oggi ancora impediscono una diffusione massiccia dello Smart Working nelle aziende in Italia?

L’ostacolo principale è l’ansia, intesa sia come esigenza di controllo da parte dell’imprenditore sia di paura di infrangere modelli talmente radicati da credere che siano gli unici possibili. L’ansia è un grosso ostacolo anche per i lavoratori, che temono di non vedere riconosciute alcune loro capacità o di perdere il contatto con gli altri.

Un altro grande ostacolo è dovuto alla forte conservatività della legislazione, un problema avvertito non solo in Italia.

In attesa delle evoluzioni legislative, auspico che il progetto The Digital Workplace possa intanto contribuire in modo significativo al cambiamento culturale e di mentalità in aziende e lavoratori.

 

Intervista tratta da: telecomitalia.com. Leggi il testo integrale.

 

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Annamaria-cacchione-300x300_0
Annamaria Cacchione, è Docente universitario, esperto di progettazione e valutazione europea. Nell’ambito dell’educazione degli adulti ha lavorato all’alfabetizzazione digitale degli anziani (Grundtvig), all’integrazione linguistico-culturale dei migranti (progetti FEI) e alla formazione degli insegnanti dei CTP con progetti finanziati da fondi nazionali. Negli ultimi due anni si è occupata di interventi di empowerment e potenziamento dell’occupabilità di adulti disoccupati di lunga durata. E' Ambasciatore EPALE per il Molise.

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