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Il diritto all'ascolto nella rieducazione dei giovani detenuti

Fare esperienza del carcere, avvicinarvisi in chiave e prospettiva pedagogica almeno una volta nella vita, può significare venire a contatto con una realtà sociale che, all’apparenza, nel sentire comune, potrebbe apparire lontana dal fare educazione che, in quanto tale, presuppone invece l’assenza di ogni tipo di coercizione.

Ciononostante, proprio perché gli istituti penitenziari sono contenitori di vita a tutti gli effetti, anche al loro interno vi trova la propria legittimazione epistemologica la pedagogia (Calaprice, 2010), sempre e comunque a difesa della vita umana, carica della propria dignità di essere riconosciuta e valorizzata in quanto tale. Ancor più vero e stringente, poi, se ci si sofferma a pensare ai giovani ragazzi ospiti negli Istituti Penali Minorili del nostro Paese.

Il presente suggerimento di lettura, in particolare, tende a sottolineare l’importanza dell’ascolto degli adolescenti negli Istituti Penali Minorili, al pari dell’osservazione scientifica della loro personalità, ai fini del trattamento rieducativo, nella cornice più ampia ed eterogenea del riconoscimento del diritto all’ascolto in capo a bambini e adolescenti nei differenti contesti educativi (Brancucci, in Calaprice & Nuzzaci, 2018).

Fare esperienza del carcere minorile, in particolare, insegna anzitutto a prestare ascolto ai bisogni e ai vissuti dei giovani detenuti, sospendendo il giudizio nei loro confronti, pur con la consapevolezza che, chi osserva – analizza – valuta – progetta in chiave educativa, è comunque parte ed ingranaggio di un sistema “dispositivo” la cui natura è in prima battuta punitiva (Foucault, 1975).

Una regola connaturata al contesto, da cui non è dato prescindere, poiché funzionale a giustificare e a mettere in guardia anche dalla probabile strumentalizzazione agíta dai detenuti nei confronti dei pedagogisti della rieducazione, i quali sono chiamati a rimanere fedeli ad un principio di sano realismo, senza velleità abnormi di onnipotenza ed onniscienza.

Dare ascolto al mondo interiore dei giovani autori di reato giorno dopo giorno, non nasce soltanto dalla spinta avvertita dagli adulti di decodificare il significato secretato dietro l’atto deviante, la cui valenza comunicativa ed il significato ad esso attribuito dall’autore non sempre risultano equivalenti alla potenza simbolica dell’atto in sé (De Leo, 1999). Tale opportunità, ovvero fortuita casualità, è difatti il risultato ultimo di un processo relazionale diadico, fondato sulla valenza educativa e comunicativa della relazione stessa, frutto della lectio magistralis della pedagogia per i “ragazzi difficili” (Bertolini, Caronia, 1993).

Ascoltare i ragazzi in un carcere minorile, ad esempio, insegna che ad essere “difficili” sono le loro giovani esistenze ed esperienze che segnano precocemente, e talvolta indelebilmente purtroppo, le loro stesse personalità. Ascoltare i loro racconti di vita, inoltre, ci dovrebbe insegnare che i ragazzi reclusi sono pertinenza della società intera, troppo spesso indifferente e facilmente distratta dai messaggi distorti dei mass media o delle invettive politiche di turno che invocano pene più severe anche nei confronti dei giovani autori di reato (Grimoldi, 2008). L’ascolto empatico degli adolescenti e giovani adulti accolti nelle carceri minorili, invece, restituisce agli operatori del trattamento penitenziario e rieducativo l’immagine di ragazzi reclusi non poi così tanto dissimili dai loro coetanei esclusi e messi al margine dalla società esterna, i cui reciproci mondi giovanili spesso si incontrano e confrontano all’interno degli Istituti Penali, nelle occasioni di apertura alla cittadinanza sociale, funzionali a far mitigare, quel tanto che basta, lo stereotipo del carcere quale istituzione chiusa e totalizzante (Goffman, 1961).

Per saper guardare oltre, verso il futuro, anche quando appare impresa difficile, occorre la necessità di educare i minori detenuti all’ascolto empatico, del quale hanno poca consapevolezza, da parte degli operatori ed educatori della Giustizia, ai quali è richiesta la competenza di essere ascoltatori attenti, partecipi e lungimiranti circa i sogni e progetti di vita dei giovani autori di reato, il più delle volte poco capaci di proiettarsi in un futuro tutto da ri-pensare (Criscenti, 2004).  

Marco Brancucci

 

BERTOLINI P., CARONIA L. (1993), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze: La Nuova Italia

CALAPRICE S. (2010), Si può rieducare in carcere? Una ricerca sulla pedagogia penitenziaria- Le buone pratiche ri-educative nel Trattamento Penitenziario, Bari: Edizioni Giuseppe Laterza

CALAPRICE S., NUZZACI A. (2010), L’ascolto nei contesti educativi. L’infanzia e l’adolescenza tra competenze e diritti. Lecce/Brescia: Pensa MultiMedia.

CRISCENTI A. (2004), Processi educativi, socializzazione, devianza: la formazione dei minori in PENNISI A. (a cura di) (2004) La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo, Milano: Giuffrè Editore

DE LEO G. (1999), La devianza minorile, Roma: Carocci

FOUCAULT M. (1975), Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris: Éditions Gallimard; trad. It, (2014), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino: Einaudi

GOFFMAN E. (1961)  Asylums. Essays on the Condition  of the Social Situation of Mental Patients and other Inmates, Anchor Books, New York: Doubleday & Company, Inc; trad. It. (2003), Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino: Einaudi

GRIMOLDI M. (2008), Adolescenze estreme. I perché dei ragazzi che uccidono, Milano: Feltrinelli      

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