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Fare impresa in Dozza. L'azienda meccanica entra in carcere

Dieci dipendenti, italiani e stranieri. Una palestra riadattata per accogliere un'officina. In previsione una mensa per gli operai e altre assunzioni. Nulla di strano se non fosse che le maestranze sono detenute nel carcere della Dozza di Bologna. E che l'azienda per la quale lavorano, una impresa sociale, ha sede proprio lì, dietro le sbarre.

FiD - Fare Impresa in Dozza – Impresa sociale Srl, è nata nel maggio 2012 a Bologna, all’interno della Casa Circondariale di Bologna, dall’idea del Presidente della società Giorgio Italo Minguzzi che è riuscito a mettere in connessione la formazione professionale, le istituzioni e tre giganti della Packaging Valley come G.D., IMA, e Marchesini Group.  Si tratta di un'esperienza unica in Italia il cui obiettivo è quello di fornire ad alcuni detenuti, attraverso la realizzazione di lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici, una opportunità di lavoro stabile e duraturo, recuperabile una volta concluso il periodo detentivo. La specializzazione dell’azienda riguarda il settore del packaging e dell’automazione industriale, nell’ambito della produzione delle tre aziende sostengono l’iniziativa. Fondazione Aldini Valeriani è coinvolta sia in quanto socia, insieme a GD, IMA e Marchesini Group, che per quanto concerne l’organizzazione della parte formativa propedeutica all’ingresso in azienda, curata nello specifico dall’Area IeFP e Progetti di Inclusione.

 

Un altro aspetto interessante dell'esperienza è stato quello di identificare negli operai in pensione i tutor della formazione per il trasferimento delle conoscenze estramemente specializzate che sono necessarie a svolgere il compito professionale richiesto.

 

 

“Dare un altro orizzonte a chi, a un certo punto della sua vita, l’ha visto svanire”: è con queste parole che Giorgio Italo Minguzzi riassume, in sostanza, l’obiettivo del progetto. In un'intervista del giugno scorso a VOLABO (Centro Servizi per il Volontariato della Città Metropolitana di Bologna) l’ideatore dell’iniziativa spiega come, dal 2005, la Fondazione Aldini Valeriani insieme a tre importanti realtà dell’industria del packaging abbiano unito le forze per formare la Fid srl, con lo scopo di dare competenze tecniche avanzate in grado di offrire una reale opportunità di lavoro agli ex detenuti.

Come è nato e come si è sviluppato il progetto Fid?
Il progetto Fid – Fare Impresa in Dozza è nato con lo scopo di svolgere un’attività di formazione al lavoro tecnico in carcere. Il ragionamento da cui siamo partiti è che all’interno delle carceri di solito vengono sviluppate delle forme lavoro molto temporanee, legate alla vita interna al carcere (cucina, manutenzione ambienti ecc.) che difficilmente danno una preparazione tale da poterla sfruttare anche dopo il periodo detentivo. Quindi l’idea è stata quella di creare all’interno del carcere un tipo di formazione tecnica che non andasse dispersa alla fine della pena, ma che invece fosse in grado di dare delle opportunità lavorative anche al di fuori dal carcere. Il percorso si è poi sviluppato ulteriormente con la possibilità di svolgere un lavoro vero e proprio in un’officina metalmeccanica, sempre all’interno della Dozza, finalizzato al confezionamento di un prodotto finito collocabile da subito nel mercato.

Chi, tra i detenuti, può accedere al percorso formativo (e dunque lavorativo)? 
Viene fatta una selezione molto attenta di ragazzi da formare e successivamente da inserire nel mondo del lavoro. Ovviamente per realizzare questo si guarda alla condizione del detenuto e alla sua adattabilità a questo tipo di esperienza; molto è legato alla durata della detenzione: il nostro modello prevede un periodo di formazione che va da sei mesi a un anno per poi svolgere almeno due-tre anni di lavoro in carcere, per cui se la pena è troppo breve o troppo lunga (se si considera la prosecuzione del percorso al di fuori del carcere) questo modello funziona meno. E’ determinante anche il fattore età poiché il progetto guarda ai detenuti non troppo vicini all’età  pensionabile. Infine uno dei requisiti è che al momento della selezione i detenuti non siano recidivi perché chi è al primo reato, di fronte a un’opportunità immediata di riscatto tende a non ricommettere lo stesso errore; chi  invece è recidivo è più portato a reiterare il reato. Inoltre le statistiche ci dicono come la recidività cali se ai detenuti viene offerta una vera alternativa, tanto più se non hanno già avuto recidive.

E una volta fuori?
Al momento dell’uscita dal carcere se l’ormai ex detenuto ha maturato un’esperienza positiva ha sicuramente la possibilità di essere assunto in una delle tre aziende o in una delle imprese legate ad esse. In questo senso non c’è alcun vincolo, perché il progetto mira a dare una formazione da operaio specializzato, in grado quindi di avere delle opportunità lavorative reali. Finora abbiamo avuto tre casi di uscita dove ciascuno lavora per una delle tre aziende. Se si tratta di ragazzi validi come in questi casi l’idea è certamente quella di proseguire nel percorso.

Leggi tutta l'intervista sul sito di VOLABO

 

 

Anche il Sole24Ore ne ha parlato a suo tempo nell'articolo di Natascia Ronchetti "L'azienda meccanica entra in carcere"

"Dieci dipendenti, italiani e stranieri. Una palestra riadattata per accogliere un'officina. In previsione una mensa per gli operai e altre assunzioni. Nulla di strano se non fosse che le maestranze sono detenute nel carcere della Dozza di Bologna. E che l'azienda per la quale lavorano, una impresa sociale, ha sede proprio lì, dietro le sbarre. " (continua a leggere).

 

 

Link collegati:

Fondazione Aldini Valeriani, Bologna

 

 

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