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Coworking: luoghi e modi del lavoro in un quotidiano che cambia

9 agosto 2021 prima giornata del coworking in biblioteca. La dimensione del lavoro sta cambiando pelle. E noi con lei.

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Viviana Vitari
Community Contributor (Bronze Member).

[Agenda 2030 #16.6; 16.10]

C’è un termine in inglese, lingua che per sua natura riesce a far sintesi nel ginepraio dei nostri pensieri, che non siamo abituati a sentire. Eppure è particolarmente calzante in questo periodo anomalo, in un’estate che ci coglie con tanti dubbi quante sono le zanzare che ci circondano. Diciamolo pure: staycation. Dove pensiamo di andare? Per alcuni la scelta va sulla staycation, quattro passi da casa, qualche gita fuori porta oppure verso lo slow tourism. Quel simpatico giro del mondo, 4 capitali in 4 ore, tipico dei turisti nipponici che incontravamo agli Uffizi con la giacca a vento 66° North ancora arrotolata sotto il braccio, non ci ha mai convinti del tutto. Per contro, fino ad un recente passato, non ci avevano mai convinti neppure il lavoro agile, né quel modo ibrido di guadagnarci da vivere dove non si sa più dove ci si trovi, se a casa o al lavoro. In tutte queste dimensioni talvolta distopiche, tal altra preveggenti, ce n’è una che nel Bel Paese è ancora sottovalutata, quella del coworking. Eppure questo “work alone together” è cresciuto a livello esponenziale nel mondo fin dal 2005: spazi privati, rivisitati, un po’ fisici e un po’ digitali, propri da freelancer, da creativi o da viaggiatori nomadi. Tutto si misura però su una nuova volumetria, quella dettata dalla condivisione. Proprio oggi dove il digitale sembra annullare la prossimità, dove lo shock da pandemia disorienta anche i più tenaci, il movimento del coworking rimane.  

Qualcuno parla di nuove forme di “congregazione”, di vita da villaggio gloCale. Possiamo usare il plot che vogliamo, se questo ci aiuta a capire che cosa sia. Con il coworking ci troviamo nella dimensione collaborativa del produrre. E’ uno spazio incubatore, Foucault direbbe eterotopico. E’ la dimensione di apertura e di inclusione che va oltre l’idea dell’ufficio tradizionale per diventare comunità senza frontiere. Ad esserne coinvolti possono essere i membri di una stessa organizzazione, oppure lavoratori eterogenei che si incontrano fisicamente o in networking.

donna in biblioteca

Nel videoclip prodotto da Epale alcuni bibliotecari ne parlano, e lo fanno cogliendone uno dei suoi aspetti, quello che ha reso più fragili gli anni 2020 e 2021: la condivisione fisica dentro i luoghi della cultura. Perché il coworking in biblioteca, da alcune parti, si fa. In maniera a volte imperfetta, con i mezzi oggi ammissibili, ma c’è e funziona. Favorisce lo scambio nelle zone più lontane, anche rurali o periferiche. Offre possibilità per startupper, liberi professionisti, ma anche per lavoratori in vacanza e per una platea femminile che cambia. Il coworking va scoperto, più che riscoperto.

La “prima giornata del coworking in biblioteca” (sostenuta da A.I.B., Epale, ANCI Lombardia, Forum del libro, Bibliografica et al.) viene promossa con un videoclip tematico, risultato di un “coworking” fra bibliotecari. Quindi la casellina del calendario digitale va colorata d’ora in poi sulla data nazionale del 9 agosto.

In questo 2021 è già un passo avanti riuscire a dirlo: fare coworking in biblioteca si può. L’innovazione vede alcune biblioteche già preparate, per altre occorre dare tempo al tempo. In ogni caso la dimensione del lavoro sta cambiando pelle. E noi con lei.

Non ci resta che guardarci il video e magari porre qualche domanda in più a coloro che fanno parte dei titoli di coda.  

EPALE Italia
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Viviana Vitari

https://www.linkedin.com/in/vivianavitari/

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Maria Giacobbe
Gio, 02/17/2022 - 11:00

Il report sul lavoro in Italia* realizzato dall’Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche pubbliche (INAPP) «Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori», attraverso l’indagine Plus, con un campione di oltre 45mila interviste (dai 18 ai 74 anni) nel periodo marzo-luglio 2021, pubblicato il 26 gennaio 2022, rivela come funziona la vita professionale da remoto nelle PA e nel settore privato.

Gli smart worker prima della pandemia erano 2.458.210: in telelavoro o in modalità agile. Il lavoro da remoto, inserito come modalità di lavoro obbligatoria nel Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 per l’emergenza sanitaria, è aumentato dal 11% al 39,8% sul totale degli occupati, arrivando a 8.890.481 unità, e attestandosi nel 2021 a 7.262.999, pari al 32,5%.

La distribuzione dei giorni agili vede impegnati da remoto il 50% da 3 a 5 giorni a settimana e solo l’11,6% un solo giorno. La pandemia ha accelerato il lavoro agile nella PA con quasi il 40% rispetto al 31% dei lavoratori del settore privato. Per quanto riguarda le professionalità il titolo di studio è risultato un elemento decisamente discriminante e il 54,5% degli occupati con laurea o titolo post-laurea ha lavorato da remoto, contro il 14,6% di chi ha al massimo la licenza media. 

La quota di attività lavorativa resa da remoto per grandi gruppi professionali definisce, infatti, che le professioni più qualificate riescono ad erogare da remoto quote rilevanti della prestazione lavorativa rispetto alle professioni meno qualificate che sono legate al lavoro in presenza. Per quanto riguarda il genere lo scarto tra uomini e donne è minimale, con una quota degli uomini al 32% e delle donne al 33,1%. 

La modalità di prestazione prevalente per la tipologia di lavoro da remoto è stato il lavoro agile, pari al 73%, rispetto al telelavoro che ha raggiunto il 27%. Sul versante degli accordi per il lavoro reso da remoto si registra un 16,5% per la formula dell’accordo collettivo, 14,3% per l’accordo individuale, 21,8% per un regolamento aziendale e circa il 37% senza una formalizzazione precisa alla luce della deroga normativa emergenziale. Per agevolare e sostenere il lavoro da remoto con strumenti e modalità organizzative sono state attivate piattaforme digitali per consentire lo svolgimento delle riunioni a distanza: nella PA con il 71,5%, nel privato con il 64,4%. Ben oltre la metà delle aziende private (il 62,1% contro il 41,9% della PA) hanno fornito dispositivi informatici: laptop, PC, tablet, smartphone. Sono stati attivati dei protocolli di sicurezza informatica in entrambi i settori per il 56,1%. Nel settore privato alcune aziende hanno investito per migliorare le condizioni di lavoro agile nel presente e per favorire questa modalità per il futuro: il 46,8% investendo in formazione, il 25,7% fornendo attrezzature ergonomiche e il 22,2% erogando un contributo economico ai dipendenti. 

L’erogazione dei buoni pasto ha visto una quota maggiore nel privato (28,2%) mentre nel pubblico solo il 12,7% dei lavoratori ne ha potuto usufruire. Inoltre, il settore privato pare distinguersi, rispetto al pubblico, per una migliore organizzazione del lavoro che prevede l’assegnazione di obiettivi individuali nel 29,7% dei casi, una reportistica periodica sul grado di conseguimento degli obiettivi nel 30,3% dei casi e, generalmente, non registra né le ore lavorate, né la presenza da remoto nel 50% dei casi circa. Al contrario, il settore pubblico si contraddistingue per una più lenta capacità di introdurre innovazioni, prevedendo in misura inferiore, rispetto al privato, l’assegnazione di obiettivi individuali (26,8%), ma in quota maggiore la presenza di una reportistica (43,4%), evidenze che fanno pensare ad un possibile rischio di ulteriore burocratizzazione del sistema, che poco si concilia con una natura ‘agile’ del lavoro. 

Il lavoro agile è stato valutato molto favorevolmente per il 54,7% degli occupati da remoto, che hanno valutato positivamente i vantaggi di questa modalità di lavoro, come la maggiore libertà di organizzare l’attività e gestire gli impegni familiari, nonostante le difficoltà riscontrate nel gestire i confini fra vita lavorativa e familiare.

Qualcuno valuta negativamente alcuni impatti: lo sviluppo professionale, le motivazioni lavorative, lo stress e le tutele dei diritti. Nettamente negative le valutazioni sui costi sostenuti e l’isolamento nei rapporti con i colleghi.

 

Per quanto riguarda la tutela delle nuove forme di flessibilità del lavoro esistono riferimenti normativi già dal 2012. Per la PA il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato il 10 marzo 2021 concorda per il lavoro agile la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati e concili le esigenze dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata. 

Per il settore privato la legge di riferimento è la n. 81/2017: per l’adozione dello smart working è necessario un accordo scritto tra datore di lavoro e dipendente che stabilisca durata, condizioni del recesso, modalità di esecuzione della prestazione, strumenti tecnologici utilizzati e il rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore. Il 7 dicembre 2021 il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha raggiunto l’accordo con le parti sociali sul primo “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato. Il protocollo è del tutto simile alle linee guida sul lavoro agile emanate dal Dipartimento della funzione pubblica. La differenza fondamentale tra il lavoro agile nel settore pubblico e nel settore privato fino al 31 marzo 2022 sta nell’obbligatorietà, per il settore pubblico, dell’accordo individuale, come previsto dalla legge 81/2017, mentre nel settore privato è ancora ammessa la forma semplificata di smart working, senza necessità di accordo individuale. 

«Lo Smart Working è una filosofia manageriale fondata sulla restituzione al lavoratore di autonomia e flessibilità nello scegliere il luogo, l’orario di lavoro e gli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Troppo spesso lo Smart Working viene confuso con il concetto di telelavoro o viene ricondotto a politiche di welfare e conciliazione. Il vero cambiamento che deriva dallo Smart Working è ben più profondo: si passa da un management orientato al presenzialismo e al controllo, ad uno orientato alla fiducia, alla collaborazione, alla flessibilità e alla delega» (Mariano Corso, Professore di Leadership e Innovation, Responsabile Scientifico degli Osservatori Smart Working e Cloud Transformation).

Orientarsi sulla fiducia e sulla collaborazione significa anche migliorare le condizioni di lavoro agile nel presente con delle politiche solidali che offrono luoghi pubblici gratuiti per gestire i confini fra vita lavorativa e familiare. Per superare l’isolamento sociale e ridurre i costi delle utenze domestiche. Spazi che possono offrire anche le biblioteche a certe tipologie di lavori agili che non richiedono particolari condizioni esecutive. La solitudine potrebbe risolversi con l’inserimento in una comunità che accoglie e solidarizza e, al contempo, diventerebbe una soluzione di economia solidale che porterebbe, a fronte di migliaia di utenze singole di riscaldamento, a utilizzare spazi pubblici già riscaldati e organizzati per la consultazione e lo studio in sede.

* Bergamante F., Canal T., Mandrone E., Zucaro R. (2022), Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori, Roma, Inapp, Policy Brief, n. 26 <https://oa.inapp.org/xmlui/handle/20.500.12916/3420>

 

 

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