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Una giustizia dal volto umano

KINTSUGI, il progetto che supporta la condivisone di pratiche in tema di giustizia riparativa in Europa

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Martina Blasi

Venerdì 25 ottobre presso la Scuola Superiore dell’Esecuzione Penale “Piersanti Mattarella” si è svolto il seminario “Giustizia riparativa e vittime: testimonianze”, giornata finale delle attività di formazione con focus sulle metodologie riparative e la mediazione comunitaria nell’ambito del progetto europeo KINTSUGI.


Il progetto KINTSUGI – che vede come capofila l’Associazione di promozione sociale “Welcome” e come partner l’Associazione Spondé Onlus, l’European Forum for Restorative Justice (BE), l’Università di Belfast, facoltà di Scienze sociali (UK), l’Agenzia di mediazione penale “Mediante” (BE) e l’Agenzia di pratiche riparative “Arpege” (BE) – prevede di arricchire le competenze professionali dello staff delle associazioni partner tramite l’organizzazione e la messa in pratica di un corso formativo per operatori del settore della durata di tre moduli di 5 giorni ciascuno per un totale di 90 ore.


Per ciascun modulo la formazione è accompagnata da visite di studio presso enti ed organizzazioni che lavorano con pratiche di giustizia riparativa e seminari aperti al territorio.

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Il seminario tenutosi a Roma ha affrontato il tema delle metodologie riparative rivolgendo l’attenzione al ruolo dei diversi attori del processo riparativo: le vittime, i detenuti, la comunità, gli operatori degli Uffici di esecuzione penale esterna ed infine il mediatore, che ha il compito di indirizzare il dialogo e permettere il confronto. Il reato non riguarda infatti solo chi lo ha commesso e chi lo sancisce con la condanna, ma anche chi ha subito il torto e la lacerazione: ovvero la vittima e la società.

Tutti i diversi punti di vista e i fondamenti della giustizia riparativa sono stati discussi durante la tavola rotonda del seminario sapientemente moderata da Maria Pia Giuffrida, Presidente dell’Associazione Spondé onlus.

La persona vittima

Dalla voce di Manlio Milani, vittima della bomba del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia, in cui perse la moglie, emerge la battaglia interiore e il percorso fatto di rabbia, isolamento, desiderio di vendetta e infine necessità di comprendere di chi ha subito una lacerazione profonda.
Manlio Milani, presidente dell’Associazione Casa della Memoria, ha sottolineato più volte un elemento fondamentale della mediazione nelle pratiche riparative: la responsabilizzazione del reo che deve confrontarsi con il dolore causato alla vittima e provarlo a sua volta e al contempo la capacità della vittima di fuggire dalla de-umanizzazione del reo per vederlo come persona, non come mostro.

Un percorso difficile, che si basa sulla libera scelta degli attori coinvolti, perché, come afferma Milani: “Il dialogo con il colpevole presuppone che anche tu vittima sia disposto a metterti in discussione per riacquistare il senso della vita perduta”

Una giustizia dal volto umano

Elio Lo Cascio, sociologo e mediatore penale, ha illustrato il ruolo del mediatore che facilita il dialogo tra vittima e reo: “La giustizia riparativa è una giustizia che cura, che si prende cura delle persone. È una giustizia dal volto umano” – afferma. Compito del mediatore è ascoltare e permettere alle parti in causa di confrontarsi, cercare di instaurare un dialogo tra due monologhi, evitare sempre una riconciliazione “buonista” e ricercare invece l’impegno, la fatica e il sacrificio necessari per ottenere un risultato utile e durevole.

La mediazione comunitaria

Anna Starpoli, sociologa dell’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe, ha documentato un’esperienza di mediazione comunitaria a Palermo nel quartiere di Danisinni. La mediazione comunitaria si mette in ascolto delle singole voci di una comunità, delle singole persone, che hanno bisogno di farsi riconoscere e di fare ascoltare la propria voce. Quando i conflitti interni ad una comunità non sono ascoltati, si creano drammi e delitti, per questo è necessario che i progetti pianificati nei quartieri bisognosi siano decisi in accordo con la comunità e non decisi dall’alto per poi essere abbandonati e abbandonare nuovamente il quartiere in un circolo di marginalità.
La forza della mediazione comunitaria è quella di essere capace di modificare le abitudini delle persone, di operare nella società attuando un vero cambiamento culturale. Questa la testimonianza di una donna del quartiere di Danisinni sull’esperienza di mediazione svolta: “Abbiamo imparato ad ascoltare senza giudicare, a vincere le nostre timidezze e a comportarci in modo diverso quando siamo coinvolte in un conflitto”.
Sospendere il giudizio è necessario in un percorso di mediazione in quanto ogni “etichetta” ci libera dal doverci interrogare.

La collaborazione tra istituzioni e terzo settore

A conclusione del seminario, gli interventi delle associazioni del Terzo settore di Pisa, di Rossella Giazzi, Direttore dell’Ufficio dell’Esecuzione Penale di Pisa e di Fulvio Sciamplicotti, della Cooperativa sociale il Cammino aderente al Cordinamento nazionale delle Comunità di Accoglienza, sottolineano l’importanza della collaborazione tra istituzioni e terzo settore.
Fulvio Sciamplicotti gestisce con la Cooperativa Il Cammino un centro residenziale rivolto a persone sottoposte a misura alternativa, una struttura intermedia, di passaggio, ma inserita all’interno di una comunità. L’inclusione nella comunità delle persone che si trovano all’interno di percorsi penali di reinserimento sociale, prevede il coinvolgimento di chi accoglie perché anche la comunità, come la vittima, non va dimenticata e non va lasciata sola.

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Prossimo appuntamento di progetto in Belgio, prima della conferenza finale che si svolgerà a Sassari a giugno per la capitalizzazione del network europeo di giustizia riparativa e per future possibilità di cooperazione.

Martina Blasi

Unità Epale Italia

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