Come (non) occuparsi di progettazione europea: i tre approcci da evitare


Lavoro nel campo della progettazione europea da circa 15 anni, prima da dipendente, poi da freelance e ora come founder di una società che, tra le altre cose, si occupa di design di progetti a impatto sociale. Sulla base di questa lunga esperienza, posso dire con un certo grado di consapevolezza di aver individuato almeno tre tipologie di approccio sbagliato, o quanto meno rivedibile, nei confronti della progettazione europea. Vediamo quali sono.
1. La modalità random
Il primo tipo è costituito dalle organizzazioni che si cimentano nella progettazione europea in modalità random. “Faccio un bando all’anno e vediamo che succede”, oppure “Toh, è uscito un bando che fa per noi. Ci proviamo?”. L’intento è lodevole, ma spesso il risultato è un buco nell’acqua. Non ci si inventa esperti in progettazione europea, soprattutto in ambito sociale.
2. Competenze troppo generiche
Poi ci sono le organizzazioni che si affidano ai cosiddetti “europrogettisti”. Termine abbastanza oscuro ma che, probabilmente, indica quei professionisti esperti di progettazione europea, di cui però non si capisce bene l’ambito ricoperto. Sappiamo bene come ormai ci siano bandi quasi su tutto in Europa: dai bandi per associazioni no profit all’industria 4.0, passando per l’inclusione dei rifugiati. E ancora: dai bandi per le biciclette all’occupazione giovanile. Oltre al tema delle competenze degli europrogettisti, affidarsi a meri consulenti esterni lascia anche poco all’organizzazione in termini di trasferimento delle competenze stesse. Il rischio è che a ogni bando si torni al punto di partenza, e che si cerchi un altro consulente se con quello precedente non è andata bene.
3. La scarsa consapevolezza
Ci sono poi le organizzazioni meno “colpevoli”, ovvero quelle che non hanno compreso a pieno le opportunità e le potenzialità della progettazione europea. Pur essendo dotate di una solida struttura organizzativa e di buone progettualità, non si sono mai cimentate nella partecipazione a progetti europei per scarsa conoscenza o per paura.
Da questa disamina emerge la necessità di un cambio di paradigma per tante realtà interessate a cimentarsi nella progettazione europea.
Innanzitutto, per lavorare sui bandi europei relativi al terzo settore bisogna partire da un assunto di base: progettare in Europa non è impossibile. Occorrono metodo e costanza. Le basi non sono dissimili dalla progettazione nazionale o locale, ma ci sono dei fattori di cui tenere conto. Dalla progettazione in una lingua diversa all’importanza di avere a fianco i partner giusti. Ma anche regole di rendicontazione e obiettivi diversificati per ogni bando o programma europeo. E questi sono solo alcuni.
Progettare in Europa, inoltre, necessita di tempo: diffidate da chi vi promette facili vittorie. Portare le proprie idee in Europa è un processo di medio-lungo periodo che richiede almeno tre cose:
- Un ripensamento della propria struttura organizzativa
- Un affinamento delle competenze del team che lavora sui progetti
- Un allineamento di tutto l’ente verso l’importanza della progettazione europea.
L’ultimo punto è fondamentale. Quanto più un ente è allineato rispetto al senso della progettazione europea per la propria vision e mission, tanto maggiori saranno le probabilità di successo dei propri progetti nei bandi del terzo settore. E in più si eviterà quella che chiamiamo la “sindrome del progettista solitario”. Ovvero la dinamica che spesso si crea in vari enti (anche grandi) in cui i progettisti lavorano in totale disconnessione con il resto del team. Motivo per cui si trovano costretti a rincorrere i colleghi per avere anche un minimo supporto su questioni che non dovrebbero esclusivamente competere loro. Come ad esempio una buona analisi di contesto, la scrittura di un percorso formativo, ecc.
L’approccio che funziona meglio e con risultati migliori è quindi quello che porta l’ente a ideare progetti in linea e in coerenza con la mission dell’ente stesso e che beneficiano delle migliori pratiche e delle competenze dello staff intero.
Antonio Dell'Atti
Ambasciatore Erasmus+ Educazione degli adulti in Puglia