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L’ engagement del paziente nella Sanità Italiana

Il “patient engagement” si traduce nelle abilità comportamentali acquisite/acquisibili dai pazienti per mettere in atto una buona autogestione della cura e dello stile di vita. E’ un termine-ombrello (comprensivo di altri concetti tradizionali quali l’aderenza del paziente, la compliance, l’empowerment e la partecipazione nelle decisioni condivise) connesso a quei fattori di natura psicosociale, relazionale ed organizzativa che danno forma alla capacità dei pazienti di diventare maggiormente proattivi, consapevoli e partecipativi lungo il loro “percorso” di cura (Gruman J., 2010). E’ un “paziente” più consapevole della propria diagnosi, capace di attivarsi in modo corretto ai primi segni e sintomi della malattia, di mettersi in contatto con il medico tempestivamente e di fruire dei servizi sanitari offerti dal sistema in modo più soddisfacente.

Il concetto di empowerment e di engagement del paziente ha assunto crescente attenzione in sanità alla luce degli esiti critici derivanti da una aderenza terapeutica inefficace: non seguire correttamente una terapia medica può, infatti, determinare delle ricadute in termini clinici a causa dei quali ci si deve rivolgere al pronto soccorso. La letteratura internazionale sostiene sempre di più il ruolo della persona come soggetto attivo ed “esperto” all’interno del processo clinico-assistenziale, capace di mettere in evidenza gli elementi innovativi e migliorativi delle cure ma anche le criticità da cui imparare e modificare.

Il “patient engagement” si traduce nelle abilità comportamentali acquisite/acquisibili dai pazienti per mettere in atto una buona autogestione della cura e dello stile di vita. E’ un termine-ombrello (comprensivo di altri concetti tradizionali quali l’aderenza del paziente, la compliance, l’empowerment e la partecipazione nelle decisioni condivise) connesso a quei fattori di natura psicosociale, relazionale ed organizzativa che danno forma alla capacità dei pazienti di diventare maggiormente proattivi, consapevoli e partecipativi lungo il loro “percorso” di cura (Gruman J., 2010). E’ un “paziente” più consapevole della propria diagnosi, capace di attivarsi in modo corretto ai primi segni e sintomi della malattia, di mettersi in contatto con il medico tempestivamente e di fruire dei servizi sanitari offerti dal sistema in modo più soddisfacente.

Il percorso europeo per diventare paziente esperto nella Ricerca e Sviluppo di nuovi farmaci prevede una formazione blended, basata sui principi dell’educazione degli adulti, in cui è fondamentale riconoscere e valorizzare le diverse esperienze dei partecipanti, farne tesoro e co-costruire le tappe da raggiungere. Alla formazione a distanza, si affianca una formazione “face-to-face” le cui finalità sono di provare, simulare, riformulare, rivedere insieme momenti fondamentali per sentirsi “pazienti esperti”.  L’esperienza europea sta aprendo le porte ai pazienti esperti anche nell’Health Technology Assessment, nei Comitati Etici, nei gruppi di ricerca etc

www.eupati.eu

In Italia si è costituita la piattaforma Eupati sotto il nome di Accademia dei Pazienti organizzando il 1° corso di formazione per pazienti esperti coinvolti nella Ricerca e Sviluppo dei nuovi farmaci.

https://accademiadeipazienti.org/

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Commento

Per migliorare l'aderenza terapeutica occorre implementare percorsi educativi per i pazienti e per i caregiver. I rischi per la salute sono alti e solo una corretta assunzione dei farmaci e corretti stili di vita possono ridurre l'impatto negativo. 
Una revisione della Cochrane Collaboration conferma la necessità (https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD007768.pub3…) nel seguente modo:  

Decision makers faced with implementing interventions to improve consumers' medicines use can use this overview to inform decisions about which interventions may be most promising to improve particular outcomes. The intervention taxonomy may also assist people to consider the strategies available in relation to specific purposes, for example, gaining skills or being involved in decision making. Researchers and funders can use this overview to identify where more research is needed and assess its priority. The limitations of the available literature due to the lack of evidence for important outcomes and important populations, such as people with multimorbidity, should also be considered in practice and policy decisions. 

Strategies that appear to improve medicines use include medicines self‐monitoring and self‐management programmes, while simplified dosing regimens and directly involving pharmacists in medicines management (eg medicines reviews) appear promising. Other strategies, such as delayed antibiotic prescriptions; practical management tools (eg reminders, packaging); education or information combined with other strategies (eg self‐management skills training, counselling); and financial incentives, may also have some positive effects, but their effects are less consistent. 
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