Il teatro applicato al sociale: strumento educativo e di comunicazione

L’insieme è qualcosa che noi percepiamo attraverso i nostri sensi e di cui facciamo esperienza quando ascoltiamo una sinfonia che è un insieme di note, o quando vediamo uno stormo di uccelli e potremmo fare tanti altri esempi.
L’essere umano è l’unico essere per natura che può non solo cogliere questa totalità ma può addirittura attraverso uno sforzo della mente "pensare" le singole parti che lo compongono o addirittura creare combinazioni possibili a partire da queste per dare vita a qualcosa di sempre nuovo.
Condizione preliminare per creare qualcosa è certamente il coinvolgimento in qualcosa, la motivazione a volere conoscere ed esprimerci e quindi a donare.
Questo ci restituisce un senso per cui noi facciamo quanto ci siamo proposti.

Per parlare del Progetto Theather oureach: unravelling connections in humans – T.o.u.c.h (cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Europa Creativa) vorrei partire dal senso che ha avuto per i nostri che ha caratterizzato questa esperienza.
Avete presente le rondini, quegli uccelli migratori, che cantano individualmente ed in gruppo?
Quegli uccelli che nidificano in luoghi appartati come i sottotetti, i cornicioni, le stalle e che si cibano in volo di insetti?
E quanto è bello quel movimento che compiono quando cambia la stagione.
È curioso osservare come con l’arrivo del clima freddo. queste tutte insieme, accorate, svettano nel cielo percorrendo tantissimi km alla ricerca di un luogo caldo dove svernare.
Il gruppo è la loro forza, le mette al sicuro dal rischio smarrirsi e di estinguersi.
Nell’uomo accade qualcosa di simile.
L’essere umano socializza, è un’azione così naturale; gli psicologi direbbero che l’uomo è un’animale sociale e il gruppo è un fattore positivo e protettivo per la persona che vive stati di crisi o di brusco cambiamento.
Gli esseri umani grazie alla capacità di comunicare e creare relazioni nel corso della storia hanno realizzato molte cose, hanno creativamente compreso come risolvere svariate questioni come il vivere in condizioni climatiche avverse, risolvere problemi matematici, ripristinare un nuovo ordine dopo sconvolgimenti di guerra e conflitti, addirittura sono riusciti a trovare il modo per poter esplorare pianeti diversi dalla terra.
La base sicura è la condizione preliminare per poter fare qualcosa, per sviluppare al meglio se stessi e produrre un cambiamento significativo.
Tuttavia, dobbiamo prendere atto che non tutte le persone hanno avuto, nel corso della storia, ed ancora oggi accade, le stesse possibilità: sociali, economiche, politiche per sviluppare il proprio potenziale o per vivere semplicemente una vita degna di essere vissuta.
Questo da sempre ha creato le basi della disuguaglianza sociale. Di fatto alcune persone sono su un piano di svantaggio sociale.
Allora quel movimento naturale verso l’altro di cui parlavo si fa per qualcuno più difficile, si preferisce così l’isolamento e quando urlare e battere i pugni (ammesso che serva) non basta si finisce ai margini della società.
Ad aggravare questa condizione sono spesso gli stati e le istituzioni che non sono capaci di creare per i propri cittadini condizioni di uguaglianza sostanziale, capace attraverso l’applicazione di leggi ad hoc, di sostenere condizioni di precarietà e di disagio che giornalmente alcune fasce deboli vivono.
Se è vero che spesso le istituzioni di fronte al disagio e alla discriminazione restano titubanti, certamente il mondo “reale” fatto da piccoli e grandi uomini è sempre stato presente per porgere una mano.
Nel corso della storia è mirabile l’esempio di come gli esseri umani abbiamo saputo aver cura del proprio prossimo.
Margaret Mead, antropologa statunitense sostiene che il primo segno di civiltà in una cultura, è stato quando è stato rinvenuto un femore rotto, poi guarito.
Questo significa che qualcuno si è preso cura della persona malata, ha provveduto alle sue esigenze piuttosto che pensare a sé stessa, così la persona si è salvata.
Questo semplice e costante gesto di cura, questo sentimento di compassione verso l’altro, crea le condizioni per una società più genuina ed una comunità allargata che ha a cuore la tutela come dimensione e condizione del vivere.
Il progetto T.O.U.C.H a cui noi dell’associazione Uniamoci siamo partner, va proprio nella direzione del riconoscimento di questa civiltà originaria, fatta di connessioni umane e di veli che coprono la persona; per cui noi possiamo conoscere l’altro come direbbe una filosofa e pedagogista dei primi del Novecento, Maria Zambrano, soltanto per luci ed adombramenti e soltanto all’interno di una relazione di riconoscimento.
In tal senso riconoscere una civiltà, vuol dire vedere che accanto a te vive un’altra persona di cui non conosci molte cose e che però come te vive successi e insuccessi, ha bisogno di cura, ha dei credi, ideali, obiettivi e speranze.
Avevamo sete di sapere, di conoscere, voglia di sensibilizzare, di svelare cosa si nasconde dietro quelle connessioni umane.
La particolarità di questo progetto è che ha come tema il teatro sociale ed è stata usata una metodologia specifica che ha il nome di teatro applicato al sociale.
Dalla sua nascita, negli anni 1970, ad oggi, questa forma teatrale ha assunto nomi differenti.
In Italia, ma non solo, anche in Europa, negli Stati Uniti e in Sud America, si sono sviluppate molte forme di teatro che operano all’interno di contesti sociali svantaggiati. In particolare, in Italia, questa esperienza teatrale si è diffusa dapprima nei contesti della psichiatria, del carcere e della disabilità; via via andando ad includere altri ambiti dove le persone vivevano una condizione di fragilità e di sofferenza
Questa forma di teatro include tutte le forme in cui il teatro è usato come strumento rispetto a fini sociali, educativi o di cura, in cui non c’è una ricerca artistica, rispetto alla forma teatrale. Negli ultimi 10-15 anni si è sviluppata nell’ambito di tutte le arti performative una tendenza ad agire attraverso l’arte nei contesti sociali per favorire una partecipazione culturale e sociale dei cittadini
Il Teatro Sociale e di Comunità è sostanzialmente una forma teatrale che ha due finalità: una di tipo culturale-artistico, propria della dimensione teatrale e una di tipo sociale, che riguarda l’empowerment della persona e delle relazioni tra persone. Il TSC si caratterizza per coinvolgere attivamente le persone comuni nel processo creativo proprio del teatro in qualità di attori o altri ruoli. Un teatro da fare più che da vedere.
Obiettivo di questo progetto è stata sviluppare la seconda finalità che è stata quella di tipo sociale.
Il focus sulla persona e poi sui gruppi durante le attività di teatro è stato notevole, intenso emotivamente, tanto da suscitare svariate emozioni nei nostri partecipanti.
Il progetto, dopo una fase locale di sperimentazione della metodologia da parte di ciascun partner con giovani e adulti in condizione di svantaggio, prevedeva una fase di progettazione e sviluppo attraverso diversi incontri con i gruppi transnazionali presso la residenza artistica degli “attori” e del team creativo transnazionale, nella città serba Vrsac, una piccola cittadina a confine con la Romania.
Tra i partecipanti: direttori artistici, assistenti alla regia e uno scenografo insieme ai gruppi di attori appartenenti all’associazione italiana Uniamoci, che si occupa dell’inclusione sociale di giovani e adulti con disabilità, e ad altre due realtà, CEPORA, un’associazione serba che si occupa principalmente di orfani e soggetti in condizioni di disagio e la croata Empiria teatar, fatta da professioniste del teatro, nello specifico si occupano di teatro indipendente, sperimentale ed educativo. Obiettivo della residenza artistica, la creazione di una CO-PRODUZIONE INTERNAZIONALE INCLUSIVA basata sull' approccio del teather outreach in cui il metodo del teatro sociale è stato utilizzato per il coinvolgimento e l'empowerment dei tre gruppi target a cui appartengono gli attori della nuova compagnia internazionale: giovani senza cure parentali, adulti con disabilità, giovani disoccupati.
La durata dell’esperienza in Serbia è stata in totale di 12 giorni, di cui 8 trascorsi a Vrsac, dove si sono svolte tutte le attività di teatro propedeutiche alla formazione della compagnia teatrale, e gli ultimi 3 giorni nella capitale a Belgrado dove il gruppo divenuto compagnia internazionale ha esordito con la sua premiere in un orfanotrofio e successivamente al teatro internazionale Dusko Rodovic.
Il progetto T.o.u.c.h ha dato l’opportunità ai nostri partecipanti di vivere un’esperienza formativa e soprattutto trasformativa, di essere coinvolti in una serie di esercizi tipici del teatro dell’oppresso, del teatro sociale, dove quello che contava alla fine era mettersi semplicemente in gioco e fare teatro.
Proprio come quelle rondini i partecipanti inizialmente erano un po’ curiosi di esplorare ed un po' spaventati, non sapevano cosa aspettarsi però avevano tanta energia e voglia conoscere e di crescere.
Lo svolgimento delle attività ha seguito questo ordine: dapprima tutti i partecipanti presenti hanno lavorato in un gruppo unico, alla ricerca delle tematiche più rilevanti per i partecipanti, utili per la fase di progettazione.
Ad un secondo livello il gruppo si è separato nei gruppi nazionali.
L’attenzione è stata posta sugli individui singoli e sul come trasformare le narrazioni personali in scene di teatro.
Nell’ultima fase si è lavorato insieme attraverso un lavoro sartoriale, dove registi e scenografi hanno fatto un lavoro meticoloso di montaggio, fatto di tagli, cuci e aggiustamenti vari
Mettere in scena temi importanti come quello della Libertà e del Valore personale non è soltanto difficile per chi deve interpretare quelle scene ma è anche pregnante perché carica di responsabilità.
L’abile lavoro del gruppo ha avuto la meglio, lavorare in un clima sereno, leggero e aperto allo spazio personale ha permesso di non sentire le forti le doglie del parto, fatte di resistenze, preoccupazioni, stanchezza e sensazioni spiacevoli.
I nostri partecipanti man mano assumevano le pose da attori, hanno cominciato a ricordare battute e movimenti da fare in scena; si è creata insomma, una bella energia.
I gruppi imparavano a fidarsi di più, erano sempre più coordinati, partecipi, pronti all’ascolto piuttosto che parlare, così tutte le preoccupazioni sono scivolate sullo sfondo.
L’obiettivo è stato raggiunto: dal nido, quell’ambiente protetto che spesso si sentivano ripetere dalla conduttrice delle attività, i piccoli attori sono partiti, scoprendo che quel luogo sicuro non era altro che un bellissimo trampolino di lancio, verso vette più alte.
L’emozione di cavalcare e poi volare su quel palcoscenico, al Dusko Rodovic, è stata una sensazione di pura adrenalina. In quel momento si muovevano come un corpo unico pronto a sorreggere l’altro nel caso in cui qualcuno fosse caduto.
Hanno attraversato in un luogo e largo il teatro, al buio, poi con le luci puntate, sfrecciavamo a pelo sulla testa degli spettatori.
L’attenzione era tutta posta su di loro.

Nell’esibizione della linea i partecipanti camminavano uno di fianco all’altro indossando un naso rosso da clown, era una marcia, fredda e calda al tempo stesso, tagliente, si sentivano sullo sfondo frasi come “sono in un momento di transizione della mia vita”, “sono ostile”, “so che posso ma mi convinco che non posso” e ad un certo punto qualcuno si fermava di colpo mentre il resto del gruppo continuava a marciare.
Sembrava un’onda! Quando il gruppo faceva ritorno anche la persona sospesa, ferma, da sola, ritornava a marciare, insieme al resto del gruppo.
Ci sono stati momenti molto emozionanti, un racconto di discriminazione, movimenti di ribellione, senso di rivalsa, ancora un’altra storia di discriminazione, culminata alla fine con un urlo liberatorio.
I messaggi di sensibilizzazione inviati al pubblico sono stati forti e chiari, attraverso alcuni spaccati di vita, sono emerse storie di rabbia, tristezza, frustrazione, senso di impotenza, paura di non farcela ed il pubblico stava lì a vivere attivamente lo spettacolo.
Il messaggio più bello però ce lo hanno dato i nostri ragazzi che hanno avuto tanto coraggio, hanno superato ancora una volta se stessi e quei limiti ristretti a cui tante volte la disabilità li confina. Abbiamo conosciuto le loro potenzialità, quelle risorse di cui non sapevano di disporre. Li abbiamo visti attivi, vivi, concentrati, è nata anche una star fra loro, una felice scoperta.

Così compagnia ha avuto successo, il dramma del disagio giovanile di fronte la discriminazione, la mancanza di lavoro al suono di Libertà e di Valore, ha convinto il pubblico che l’ha ringraziata riempiendola di grandi e fragorosi applausi.
Prima di chiudere il sipario, gli attori della compagnia hanno fatto un gesto molto carico di significato, si sono avvicinati tutti verso il pubblico ed hanno teso una mano e poi l’altra alle persone che avevamo di fronte, invitandoli a partecipare ad unirsi.
il risultato è stato spettacolare. Hanno riprodotto una tela, fatta di legami e connessioni umane. C’era aria di armonia.
Il pubblico si è svelato, si è messo in gioco, perché poi alla fine “E’ tutto un grande circo, in questa fottuta vita e tu ne fai parte”.
La compagnia sarà pronta per la primavera, svetterà sui cieli di Palermo dove riprodurrà parte dello spettacolo come gruppo nazionale in alcune scuole per gli studenti, poi raggiungerà Zagabria e Belgrado.
La tournee internazionale, invece, riprenderà questa estate e farà tappa a Palermo e Zagabria.
A presto.