Difesa dell’ambiente e accoglienza Erasmus+: un binomio che fa la differenza

Antonio Vegara Jiménez, docente del CEPER AL-YAZIRAT di Tarifa ed esperto di Rugulopteryx okamurae in mobilità Eramus+ con i discenti presso il CPIA 2 di Serramanna, ci illustra il fenomeno dell’alga che sta invadendo le coste del Mediterraneo, condividendo con noi informazioni preziose, esperienze dirette e possibili soluzioni.
Ogni accoglienza Erasmus+ per il CPIA 2 Serramanna è un’occasione speciale: un’opportunità per aprire le proprie porte al mondo, ricevere nuovi input, scoprire altre realtà e arricchirsi di conoscenze e sensibilità diverse. È stato così anche con il CEPER AL-YAZIRAT di Tarifa, che ci ha scelti come destinazione per la sua prima mobilità dal 9 al 15 maggio di quest’anno.
Grazie all’instancabile attività di ricerca-azione del docente Antonio Vegara Jiménez, insieme al collega Sergio Chico Ferrer e agli studenti e alle studentesse, il gruppo ha portato nei nostri plessi un tema di grande attualità: la Rugulopteryx okamurae. Si tratta di un’alga bruna originaria dell’Asia che, negli ultimi anni, si è diffusa rapidamente anche lungo le coste del Mediterraneo, alterando gli equilibri degli ecosistemi marini dove la sua presenza è più massiccia.
Secondo le rilevazioni condotte dallo stesso Vegara Jiménez, la Rugulopteryx è ormai presente anche in alcune zone del litorale sardo.
Gli interventi da lui proposti hanno suscitato grande interesse tra i discenti e i docenti del CPIA 2 Serramanna, generando un confronto partecipato e stimolante, ricco di riflessioni e domande. Per raccontare l’essenza di questo scambio proponiamo, di seguito, una sintesi, in forma dialogica con il relatore stesso, dei punti trattati:
D: Antonio, puoi spiegarci in termini semplici cos’è esattamente la Rugulopteryx okamurae e perché avete deciso di occuparvene al CEPA?
R: Si tratta un'alga invasiva ed esotica, di colore marrone, originaria di un ecosistema diverso dal nostro. Si diffonde in modo incontrollato, sostituendo le altre specie marine. È già presente in Spagna, Portogallo, Marocco, Azzorre, Madeira, Canarie, nel sud della Francia e, più recentemente, anche in Sicilia, Sardegna e altre zone d’Italia.
La sua capacità di espansione è impressionante: non ha predatori naturali, si riproduce molto rapidamente e impedisce ad altre specie di vivere nelle sue vicinanze.
Nella nostra scuola, già dal 2011, abbiamo iniziato a realizzare cosmetici utilizzando alghe autoctone dello Stretto di Gibilterra. Purtroppo, nel 2015 queste alghe sono scomparse a causa della rapida invasione della Rugulopteryx okamurae. Per questo motivo nel 2016 abbiamo dovuto reinventarci e occuparci di questa specie, coniando produttività e cura dell’ambiente.
D: Come è arrivata questa alga nel Mediterraneo e quali sono le cause della sua diffusione così rapida?
R: Rugulopteryx okamurae è arrivata “clandestinamente” sulle navi mercantili provenienti dalla Cina, dal Giappone e dalla Corea che operano nello Stretto di Gibilterra, a Port Tangier Med (Marocco) e Puerto Bahía de Algeciras (Spagna). Il principale vettore di ingresso e diffusione è l’acqua di zavorra, spesso gestita in modo inadeguato dalle compagnie di navigazione e scaricata da un porto all’altro senza alcun filtraggio. La nostra area è ormai diventata un hotspot di inquinamento secondario, dove manca qualsiasi misura efficace per prevenire la propagazione della specie. Questo tipo di navigazione “non sostenibile” continua ad alimentarne la diffusione, traghettandola da un porto all’altro: abbiamo rilevato l’alga a Palermo nel 2023, a Bari nel 2024, e a Cagliari nel maggio del 2025, proprio durante la nostra mobilità Erasmus+.
D: Quali sono gli effetti principali di questa alga sugli ecosistemi marini locali?
R: Questo tipo di alga sconvolge l’equilibrio della catena alimentare marina, perché nessuna specie riesce a nutrirsene. Si diffonde rapidamente e ricopre tutto il fondale roccioso fino a 45 metri di profondità, impedendo ad altre forme di vita di crescere. Non solo, ma forma grandi masse vegetali che bloccano il passaggio di pesci e altri animali marini, rendendo difficile anche il loro movimento. Quando si stacca, arriva in spiaggia o si accumula sul fondale, creando, di conseguenza, disagi ai bagnanti, rovinando il paesaggio e danneggiando le reti e le attrezzature dei pescatori.
D: In che modo la presenza della Rugulopteryx influisce sulle attività umane, come la pesca o il turismo?
R: Come dicevo prima, per i pescatori, il lavoro diventa molto più difficile: spesso, oltre a ritrovarsi con delle reti rovinate, invece del pesce, tirano su grandi quantità di alghe, a volte anche oltre il limite di carico della barca.
Anche il turismo ne risente se non si agisce. Affinché il turista non veda direttamente il problema e possa accedere facilmente alla riva, i comuni sono costretti a spendere continuamente soldi per ripulire le spiagge. Ma è un lavoro senza fine, come nel film “Ricomincio da capo” con Bill Murray: ogni giorno il mare porta nuove alghe, che, se non vengono rimosse subito, marciscono, lasciando un odore sgradevole e rendendo la sabbia poco salutare.
D: Ci sono già studi o progetti in corso per monitorare e contenere la diffusione di questa specie invasiva?
R: In Spagna e Portogallo qualcosa è stato fatto, ma si tratta per lo più di documenti: piani ben scritti ma poco efficaci, perché privi di finanziamenti concreti e di un calendario operativo.
In Italia, ho rilevato l’interesse da parte dell’Arpa Sicilia che recentemente ha partecipato ad un workshop a Malaga, nonché delle Scuole, come il CPIA 2 Serramanna o associazioni come Rebelterra, che abbiamo visitato durante la nostra mobilità.
Tuttavia, c’è ancora molto da fare. Il vostro Paese ha bisogno di un intervento deciso, in attesa che ciò avvenga qualunque passo, anche piccolo, rappresenta già un passo avanti.
D: Quali strategie o azioni concrete suggerisci per contrastare l’impatto dell’alga?
R: Per limitare la diffusione di queste alghe, sarebbe fondamentale facilitarne il recupero e lo smaltimento. Si possono seguire due vie: quella dell’uso personale: ogni cittadino può raccoglierle e utilizzarle per scopi privati, sperimentando liberamente nuovi prodotti.La seconda è legata alla commercializzazione straordinaria, ossia all’autorizzazione, in via eccezionale, alla vendita delle alghe, non per favorirne la diffusione, ma per incentivare la loro eliminazione. Si potrebbe fissare un prezzo al chilo, così da incoraggiare iniziative imprenditoriali sociali e locali, come piccole fabbriche di trasformazione.Ad esempio, gli studenti e le studentesse della nostra scuola producono cosmetici naturali, solette per scarpe, fertilizzanti, in particolare per le piante di avocado e per le querce da sughero.
D: E infine come definiresti il vostro approccio? Scientifico, pragmatico, intuitivo?
R: Bella domanda, è un po’ un mix di tutto. Non potremmo conoscere i punti di forza e di debolezza dell’alga senza la scienza; non potremmo creare nuovi prodotti senza mettere in pratica le idee; e, infine, non potremmo nutrire la speranza senza quell’intuizione che ci fa immaginare un futuro, per quanto incerto, per poter andare avanti. È tutto importante, non si può camminare da soli e in maniera univoca.
Come non essere d’accordo con Antonio sulla necessità di agire insieme, sia come cittadini sia come centri di educazione per adulti. Questo incontro, infatti, ha rappresentato, per il nostro CPIA, un’importante occasione non solo per approfondire la conoscenza del fenomeno, ma anche per riflettere insieme sugli atteggiamenti da adottare, sugli approcci da privilegiare e sulle strategie più efficaci per promuovere la consapevolezza ambientale, nonché individuare possibili piccole azioni concrete, mostrandoci come un problema può diventare, anche un'opportunità.
Ci ha, inoltre, ricordato come la scuola sia uno spazio vivo di ricerca e apprendimento, capace di farsi promotrice di un cambiamento reale – culturale, sociale e ambientale – a partire anche dalle esperienze condivise.
Per saperne di più sull’alga Rugulopteryx okamurae è possibile visitare il sito http://tarifamardealgas.weebly.com/ perché, come sostiene, Antonio Vegara Jiménez, a volte, un’immagine vale più di mille parole.