Valutare l'impatto delle azioni di accompagnamento: cambiare prospettiva e... criteri di valutazione?

Valutare l'impatto delle azioni di accompagnamento: cambiare prospettiva e... criteri di valutazione?
Come possiamo valutare l'impatto delle azioni volte all’accompagnamento? Quali sono gli indicatori adeguati a relazionare la complessità dei loro effetti?
In un contesto in cui la questione dell'utilità degli investimenti (l’annosa questione del corretto utilizzo dei fondi pubblici) è oggetto di dibattito e controversie (utile per chi? Utile in che modo?), i dispositivi di accompagnamento non sfuggono alle tensioni relative alla valutazione dei risultati grazie a essi ottenuti.
Una collega, direttrice di una Mission Locale, da tempo impegnata a riflettere sull’accompagnamento dei giovani nella sua zona di intervento e sullo sviluppo di servizi che contribuiscano a una società più giusta ed equa, mi ha confidato l'altro giorno le sue perplessità riguardo al tempo e all’energia dispensati da lei e dal suo team per compilare le numerose tabelle di follow-up relative all'attività della struttura. E ha proseguito sottolineando quanto segue: “Ho la sensazione che la giustificazione dell'attività abbia preso il sopravvento sulla rilevanza dei progetti; che gli effetti immediati e visibili siano più importanti degli effetti differiti; che il rendimento sia più importante della prevenzione”. Senza dubbio non ha avuto il tempo di leggere per intero il notevole lavoro di Alain Supiot, professore emerito del Collège de France, su “La gouvernance par les nombres”. In un'intervista sul tema della salute sul posto di lavo lavoro, Supiot ha recentemente dichiarato: "Le aziende si sono chiuse in una rappresentazione numerica della loro attività, con tabelle e percentuali”. E noi ci permettiamo di aggiungere che non ne sono esenti le strutture pubbliche o quelle che si occupano di mercati o di servizi al pubblico. Oggi, questa collega sta semplicemente cercando di interrogarsi sul significato dell'attività svolta nella sua struttura al servizio del pubblico che accompagna. Vigila, inoltre, a garantire che gli indicatori non abbiano la meglio sulla capacità di soddisfare qualsivoglia target. Sa per esperienza che congetture e analisi schematiche non sono la realtà e che, a lungo andare, si rischia di dare più importanza ai criteri di valutazione "esaminati e analizzati" che ai destinatari e alle figure professionali implicate. Viene in mente, per la sua precisione analitica, il testo di Roland Gori, La fabrique des imposteurs . Ma più in generale, la nostra professionista si interroga su cosa guidi l'azione pubblica in questo momento di grandi sconvolgimenti. E conclude con la lucidità propria dei professionisti che in prima persona sperimentano tutte le sfaccettature dei nostri mestieri: "Penso che presto saremo valutati sulla nostra capacità di incoraggiare il pubblico ad orientarsi verso i settori definiti “in tensione”. D’altronde, la piena occupazione è il nuovo mantra. Quindi anche gli indicatori stanno cambiando. ”. Intende, senza esplicitarlo, che si sta orientando l'accompagnamento professionale verso una nuova forma di influenza sociale?
Queste riflessioni dal campo (essere sul campo non significa non essere capaci di prendere le distanze, di teorizzare e di guardare le cose in modo critico!) aprono questioni metodologiche, etiche e persino politiche che incoraggiano a guardare più da vicino le fondamenta, in termini di postulati dell'azione pubblica, nel più ampio settore della formazione e dell'occupazione e le modalità di valutazione del loro impatto.
Questo porta a due questioni che cercheremo modestamente di chiarire e poi illustrare: quali sono le intenzioni che stanno dietro allo sviluppo di un sistema di accompagnamento (nel caso specifico di natura pubblica)? E, di conseguenza, possiamo dedurre dei processi e dei parametri di valutazione che tengano realmente conto dei numerosi impatti generati?
Una concezione dell'azione pubblica alla base della riflessione: responsabilità individuale e performance occupazionale
Pochi giorni dopo questo confronto, il CEREQ ha pubblicato un Working Paper molto illuminante "Généalogie de l’injonction à l’agir individuel en matière d’emploi et de formation” (ndt.: Genealogia dell'ingiunzione all'azione individuale in materia di occupazione e formazione). L'introduzione illustra la posta in gioco: "L'obiettivo di questo working paper è mostrare come le istituzioni e le organizzazioni che danno vita ad occasioni di confronto, come l'OCSE e alcuni think tank (gruppi di riflessione, circoli di esperti), diffondano l'appello alla responsabilizzazione della popolazione attiva nel relazionarsi con il lavoro, l'occupazione e la formazione ".
La retorica della responsabilizzazione individuale e dell’individuo come "imprenditore di se stesso e attore della propria occupabilità” è fortemente presente nel testo, come se non ci fosse più da discutere sull’argomento. Non riteniamo opportuno cercare di riassumere un testo così denso e illuminante. Si tratta solo di riaffermare un semplice principio. I dispositivi creati dalle istituzioni (Stati, Regioni, ecc.) si basano su una nozione dell'individuo e del suo modo di rapportarsi al lavoro, definendo ciò che può aiutarlo a diventare "autonomo", "autosufficiente", "dotato di libero arbitrio". Dalla stessa nozione, conseguono le modalità di valutazione dell'efficacia dei dispositivi finanziati (prestazioni, servizi) per il raggiungimento degli scopi appena evocati. Il quadro metodologico è quindi abbastanza chiaro: il presupposto è un individuo la cui occupabilità e motivazione devono essere sviluppate tenendo ben presenti le aspettative del mercato (intenzione); il risultato, l'accesso a un lavoro, la cui natura (tipo di contratto, durata, ecc.) può essere specificata. Questo risultato altro non è che il parametro di valutazione della performance occupazionale. Possiamo notare che le attuali tensioni relative alle assunzioni mettono in discussione una visione così semplificata. L’espressione di obiezioni su un paradigma apparentemente di buon senso richiede la messa in discussione simultanea dei due estremi del dibattito: le concezioni di fondo e i parametri di valutazione.
Pensare agli impatti in termini di prevenzione, facilitazione e potere di agire
La difficoltà sta nel fatto che questo processo di valutazione, apparentemente semplice, rende invisibile una parte essenziale di quanto apportato dalle azioni di accompagnamento, prima di tutto concentrandosi solo sui risultati in termini di cambiamento di situazione e, in seconda battuta, tralasciando la dimensione preventiva e di sviluppo (garantire che le condizioni per l'accesso a una vita attiva mobilitante siano semplificate per ciascun individuo). L'ampliamento dell'approccio potrebbe liberarci da una semantica invasiva (“lever les freins”, ndt.: eliminare gli ostacoli all’accesso al lavoro, famoso enunciato proprio, in Francia, alla riforma del lavoro) per concentrarci sulla mobilitazione delle risorse dell’individuo, nonché sul suo coinvolgimento in un ambiente facilitante.
Si tratta di riflessioni da prendere in considerazione, intrecciandole con i numerosi studi condotti nell’ultimo decennio sulla nozione di impatto. A tal proposito, France Stratégie ha pubblicato un rapporto: " Impact(s), responsabilité et performance globale”, nel quale la nozione di impatto trova nuova collocazione nel suo stesso processo storico (le aziende dell'Economia Sociale e Solidale hanno lavorato molto su di essa per dimostrare il loro contributo alla società) e nella sua attuale percezione in azienda. Si legge: Pensare all'impatto aziendale in termini di conseguenze della sua attività permette quindi di approfondire la riflessione sulla responsabilità dell'azienda stessa, definendo il modo in cui essa contribuisce allo sviluppo sostenibile e in cui prende in considerazione il dialogo con tutti i soggetti che, in qualche modo, partecipano all’attività aziendale, sulla base di dati concreti oggettivati attraverso metodologie di misurazione dell'impatto.
Sviluppo sostenibile? Un pubblico coinvolto in prima persona? Come approcciarsi, allora, ai dispositivi di accompagnamento? Se cerchiamo di misurare l'impatto del lavoro di accompagnamento, ci rendiamo subito conto che rischiamo di concentrarci solo sugli effetti sulla persona. Ora, qualsivoglia misurazione dell'impatto di un dispositivo messo in atto, anche se di approccio individuale, non può isolare la persona dalle numerose interazioni che di fatto ne rappresentano l’esistenza stessa. E, allo stesso modo, non possiamo ignorare quegli elementi che hanno per il soggetto un valore assolutamente personale. Quindi, se vogliamo conciliare l'impatto collettivo e la mobilitazione individuale, possiamo porci la domanda, come formulata da Jean Guichard. "Come possiamo aiutare le persone a costruire modelli di vita attiva che contribuiscano a uno sviluppo sostenibile, equo e umano? "E continua: "Il concetto di "capacità" sviluppato da Amartya Sen sembra essere il candidato ideale per sostituire la nozione di competenza”. Se adottiamo, dunque, un approccio attraverso le capacità, di cosa stiamo parlando? La capacità può essere intesa come "L'opportunità di mettere in atto quelle combinazioni di funzionamento umano che il singolo riesce a valorizzare: ovvero, ciò che ogni persona può effettivamente fare o essere". Senza entrare nei dettagli del modello, possiamo semplicemente concordare sul fatto che si tratta di prestare attenzione alle condizioni che permettono a ogni persona di avere accesso a un'effettiva libertà rispetto a ciò che ha un valore per lei. E questo non può essere ridotto a un semplice dato quantitativo o a una percentuale (a prescindere dall’utilità di avere a disposizione queste informazioni) perché introduce una dimensione soggettiva essenziale all’accompagnamento.
Costruire modelli di osservazione multiuso
In concreto, quindi, abbiamo proposto e sperimentato processi di valutazione multi-criteriali in una logica preventiva che non si riducesse alla semplice raccolta di dati quantitativi. Per noi si trattava di costruire griglie di indicatori che mirassero a prendere in considerazione la persona in un ambiente più ampio (lei e il mondo); che non si accontentassero di osservare semplicemente i cambiamenti della sua situazione (occupazione o meno); che si interessassero alle condizioni di esercizio della sua effettiva libertà (orientarsi verso ciò che ha un senso per lei); e che permettessero all’individuo di contribuire al processo di osservazione attraverso un lavoro riflessivo e continuo. Un simile approccio implica l'abbandono di una logica di rigida valutazione delle performance basata su alcuni criteri determinati univocamente (percentuale di abbandono, accesso all'occupazione) e la presa in considerazione della dimensione preventiva e facilitante, ossia un nuovo interesse a riaprire le possibilità (per usare l’espressione figurata del filosofo François Julien) e a sviluppare le condizioni che facilitino la mobilitazione del potere d'azione della persona, affinché si senta in grado di avanzare verso ciò che riconosce importante per sé.
La tabella seguente fornisce una versione semplificata per facilitare la lettura:
Criterio |
Cosa comprende |
1- Agentività del soggetto/controllo |
Riprendete il controllo di alcuni parametri della propria vita: provate nuove cose importanti per se stessi, sperimentate |
2- Ampliamento delle conoscenze |
Aumentare il numero di connessioni con interlocutori e risorse: uscire dall'isolamento e fare rizoma |
3- Apertura all'ignoto/curiosità |
Ampliare le prospettive ed esplorare nuove ipotesi ancora inedite |
4- Capacità di utilizzare nuove risorse e tecniche |
Imparare con l'esperienza e reinvestire le abilità acquisite in situazioni sempre più eterogenee |
5- Contributo all'esperienza cooperativa e comunitaria |
Partecipare e impegnarsi in azioni cooperative per il bene comune: andare oltre il mero sé. |
Questi 5 criteri sono importanti perché non restano esclusivamente incentrati sulla persona, ma prendono in considerazione le sue possibilità di interazione con l'ambiente. Permettono di affrontare contemporaneamente la questione del punto di vista (cosa penso di me stesso e cosa penso di essere in grado di fare) e la questione del “ciò che sto facendo” (partecipare a un fab-lab, ad esempio, imparare a saldare, ecc.) ; permettono di prestare attenzione agli ambienti favorevoli e ai metodi pedagogici capaci di facilitare l’evoluzione; possono essere discussi con gli stessi destinatari durante il processo di accompagnamento; servono anche come mezzo di orientamento condiviso dell'azione e consentono una valutazione totalmente individualizzata, ma con criteri comuni.
In breve, la griglia basata su criteri è una vera e propria struttura di ingegneria pedagogica (quali situazioni e contesti permettono di sviluppare questi criteri?) tanto quanto un modello di valutazione.
Ancora una volta, con riferimento al working paper citato nell'introduzione, il punto da attenzionare è sempre quello di non addossare tutta la responsabilità alla persona (la sua occupabilità, la sua motivazione, il suo coraggio) ma di facilitare le sue interazioni con l'ambiente, l'utilizzo arricchito delle risorse esterne proposte, ma anche la possibilità di trovare in sé risorse che non hanno mai avuto l'opportunità di essere mobilitate.
Adattiamo costantemente questo modello di osservazione e guida nei vari progetti a cui lavoriamo con i team coinvolti nelle azioni di accompagnamento. Ne daremo un'illustrazione concreta in un prossimo articolo del blog su "Accompagnement : prendre des chemins de traverse” (ndt.: Dispositivi di accompagnamento: le possibili scorciatoie) in cui presenteremo le iniziative originali sviluppate da Insercall, associazione specializzata nell’inserimento professionale attraverso l'attività economica, incentrata su due aree di attività: la consulenza telefonica e la comunicazione (stampa, web, video).
Osservare i dispositivi di accompagnamento rendendo visibili effetti non percepibili nell’immediato è anche una sfida di giustizia sociale. Le valutazioni basate su criteri non sostituiscono gli inevitabili indicatori numerici, ma mostrano gli impatti molteplici e poco visibili che le azioni di accompagnamento concretamente incentrate sull’esperienza e personalizzate possono generare.
Perché l'esperienza ci insegna anche che se non dici cosa fai e rendi possibile, ci sarà sempre qualcuno che ti dirà cosa non fai e ti mostrerà cosa manca.
André Chauvet