Dalla Ferita alla Forza: Senegal - le donne dicono di no alle mutilazioni genitali femminili



Un evento di valore quello organizzato dalla Federazione Fidapa, dalla Commissione Pari Opportunità della città di Battipaglia e dal Comitato dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, dal titolo:
‘Mutilazioni Genitali Femminili: un reportage giornalistico, il punto di vista sociosanitario, culturale e giuridico’.
L’incontro si è svolto il 27 febbraio presso la Sala Vicinanza del Palazzo di città di Battipaglia e ha ospitato la giornalista Monica Napoli, autrice del reportage ‘Mutilazioni genitali femminili’.
Un viaggio negli abissi della violenza di genere sviscerata, interpretata e tradotta dalla giornalista Monica Napoli, dal dottore Luciano Gualdieri, membro della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, dalla dottoressa Rosetta Papa, ginecologa esperta in Medicina di Genere e diritti riproduttivi e dalla dottoressa Antonietta Di Genova, avvocatessa esperta in violenza di genere.
All’evento ha partecipato l’ambasciatrice Erasmus+ EDA della regione Campania Lucia Ielpo con un info desk Erasmus+ dedicato all’Educazione degli Adulti.
La presenza di diversi esperti in violenza di genere ha rimarcato l’importanza di un approccio multidisciplinare e multi-prospettico che si pone l’obiettivo di indagare la complessità interpretativa delle mutilazioni di genere femminili, determinata dall’interconnessione e interdipendenza di molteplici variabili di natura sociale, culturale ed etnica.
Alla risposta di disagio e di rifiuto profondo dinanzi alle mutilazioni genitali femminili deve necessariamente seguire un’analisi di questa forma di violenza di genere tenendo conto delle ‘validazioni’ sociali e culturali che ne hanno garantito la sopravvivenza fino ad oggi.
La lettura multidisciplinare condotta dagli esperti ha consentito di confutare alcune ‘false credenze’ che spesso si associano alla decodifica del fenomeno secondo la prospettiva dell’adulto bianco, occidentale.
Contrariamente a tali credenze che spiegano le mutilazioni in chiave religiosa, spesso ricorrendo a corrispondenze inique e arbitrarie tra alcune religioni e questa forma di violenza di genere , dalle ricerche condotte in questo ambito, emerge come, in realtà, quest'ultima sia trasversale a diverse religioni.
Di fatto, la 'legittimazione religiosa' non trova riscontro nelle scritture ufficiali, a conferma di quanto questo fenomeno sia indipendente dal credo religioso professato.
Il dottor Gualdieri ha rimarcato come i processi di legittimazione delle mutilazioni genitali siano parte integrante di una narrazione orale fortemente consolidata all’interno di alcune comunità.
Molteplici le spiegazioni che hanno costruito negli anni un ‘credo collettivo’ che si è perpetuato in nome di una non meglio specificata adesione a presunti valori della tradizione che hanno avuto il potere di ergere a ‘rito di appartenenza alla comunità’ l’usurpazione del corpo della donna.
Il corpo della donna è da sempre una ‘terra di mezzo’, un ‘luogo di frontiera’, un ‘campo di battaglia’ in cui avvengono negoziazioni non scritte in nome di un abuso che si fa presto ‘cons-umismo’ dell’umanità più fragile e vulnerabile.
Come decostruire, dunque, oltre al rito, la sua narrazione secolare? Come può la voce occidentale supportare nella lotta a questa forma di violenza che ha radici lontane e spesso non comprensibili?
Come auspicare un cambiamento quando ancora oggi l’occidente è attanagliato da altre forme di violenza di genere, così difficili da eradicare?
L’approccio epistemologico interculturale incarna sia un modello interpretativo che uno strumento operativo da utilizzare nei diversi scenari multiculturali per promuovere il cambiamento sociale e culturale.
L’approccio interpretativo interculturale consente alla ‘epistemologia occidentale’ di confrontarsi e analizzare diversi modelli di ‘significazione’ o di costruzione di ‘senso’ presenti in comunità non-occidentali. Da questa angolazione, il mediatore interculturale ci aiuta identificare le ‘false credenze’ che caratterizzano le narrazioni della legittimazione delle mutilazioni genitali femminili.
Conoscere la lingua dell’altro, anche quella, dunque, di una comunità che vede nell’infibulazione un segno di ‘appartenenza’, significa avere gli strumenti per avvicinarsi alle persone e imparare a parlare alle donne adottando un approccio non occidentale.
La competenza interculturale corrisponde esattamente alla capacità di ‘parlare accanto’ all’altro senza prevaricare con la logica della colonizzazione culturale occidentale.
Come afferma la dottoressa Papa, alcune donne chiedono di essere infibulate per ‘appartenere alla comunità’, per non essere ‘diverse’. Il cambiamento è dunque possibile ma deve avvenire dall’interno, non può essere ‘importato’ dall’esterno, da una cultura ‘altra’.
In questo senso, il mediatore ‘interculturale’ rappresenta il ‘tra’, l’’in-between’, lo strumento di raccordo tra le comunità che può supportare sia nei processi di decostruzione di narrative lesive dei diritti delle donne sia nelle pratiche di empowerment e di riscrittura del sé.
La presenza della ‘voce’ Erasmus+ ha inteso ribadire la partecipazione del programma alle campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere, attraverso il supporto alle organizzazioni e alle associazioni che continuano a ‘lottare’ per la parità di genere in tutti i settori della vita sociale, culturale e professionale in cui le donne rappresentano ancora una ‘categoria svantaggiata’.
L’ info point Erasmus+ significa anche che il Programma affronta la lotta alla violenza di genere in maniera pragmatica e costruttiva, incoraggiando ad investire nei progetti di empowerment volti alla crescita personale, sociale e professionale della donna.
L’educazione degli Adulti si fa spesso, essa stessa, ‘lotta di frontiera’, estendendo la sua ‘Call to Action’ in contesti di isolamento sociale e culturale, in ‘luoghi di paura’ in cui l’impotenza appresa impedisce di ‘ricominciare da sé’.
La presentazione del programma Erasmus+ e, in particolare, delle opportunità progettuali volte all’inclusione, ha mostrato come molte best practices in quest’ambito abbiano saputo convertire la ‘ferita’ in ‘forza’, consentendo il reinserimento sociale di donne vittime di violenza grazie a percorsi formativi basati sulla ‘valorizzazione dell’identità femminile’ in cui quest'ultima chiede di essere ‘riconosciuta’ e ‘vista’.